Benvenuto 2024... te speriamo che te la cavi
Ce la farà l’anno nuovo ad essere un po' meno peggio dei precedenti? Ad occhio, potrebbe anche. In fondo, visti i disastri che ci stanno deliziando da due tre anni a questa parte, gli basterebbe un niente virgola zero, per aspirare alla Coppa dell’ “Io Speriamo Che Me La Cavo”.
Comunque, siccome si presenta con l’altezzosa superbia di portare in dote un solo, misero giorno in più, che poi, a ben vedere, altro non è che dovuto conguaglio, ci rimettiamo, senza nulla a pretendere, al suo buon cuore. Se farà, ringraziamo commossi fin d’ora. Se non farà…fa niente. Sarà solo un anonimo anno in più da sopportare nell’attesa messianica del prossimo.
Su una cosa, però, siamo pronti a scommettere: non avrà alcuna voglia, l’anno nuovo, di farsi carico degli impicci combinati dagli sciagurati anni che l’hanno preceduto. Non intende assumersi responsabilità che non siano quelle circoscritte al tempo di cui assume la titolarità. Condizione, questa – pare che la dritta, di prima mano, gliela abbia data direttamente Sciascia: “a ciascuno il suo” - senza la quale per niente al mondo avrebbe sottoscritto per accettazione la posizione 2024 del registro vidimato ‘Dopo Cristo’.
Il cumulo di annosi problemi irrisolti, sormontati da cascami di vecchie e nuove inquietudini, ce lo scaricherà, dunque, intatto davanti la porta di casa. Il messaggio è chiaro: se continuate a illudervi che un qualche redivivo uomo- ma anche donna- della provvidenza possa risolvere tutta questa roba al posto vostro, allora siete davvero messi male. Proprio non ce la fate ad imparare dalla vostra stessa storia. Per questo l’inutilità del tempo è già la vostra condanna. E badate: gli anni che verranno dopo di me si susseguiranno sempre più stanchi, infiacchiti, ingobbiti, acciaccati. Già adesso io, per dire, non è che mi senta tanto bene. Insomma, datevi una regolata e soprattutto sbrigatevi, prima che l’intelligenza artificiale mandi giù l’ultimo boccone di libero arbitrio, dopo aver fatto la scarpetta con i rimasugli di libertà.
Se questo scenario avesse un ché di anche lontanamente verosimile, allora toccherebbe davvero cominciare a darsi da fare, trasmigrare dalla inerzia della contemplazione al sommovimento delle iniziative. Eh già! Per fare cosa? E soprattutto, come?
Dove li troviamo, oggi, un Horkheimer, un Adorno con cui forgiare e affinare gli strumenti necessari per cogliere la complessità nell’essenziale delle sue stesse contraddizioni? Quale ribalta politica, culturale offre esempi di determinazione eticamente indisponibile a mediazioni attraverso le quali l’imbroglio di uno sviluppo falso e bugiardo viene troppo spesso spacciato per verità di progresso?
E’ altrove, allora, che bisogna guardare. E’ quell’altrove che abbiamo negato e rinnegato nel momento cui il monopolio assolutista della Ragione ha ricacciato nell’ombra di in una indistinta animalità primordiale quella particolare chiave di comprensione universale chiamata intelligenza empatica. Da allora, dismessi pensiero e idee, arranchiamo per binarietà di formule e procedure. Ma da quell’altrove possiamo riprenderci le possibilità di un diverso esistere.
A venirci incontro, in questo percorso di recupero di quella che potremmo definire la nostra animalità, un misto di capacità empatiche, intelligenza relazionale e attitudine ad essere parte del mondo naturale, sono gli animali che chiamiamo a condividere la nostra vita. Tutti, nessuno escluso, sia ben chiaro. Ma tra quei tutti ce ne è uno, il Cavallo, capace di essere specchio delle nostre emozioni, capace di guidarci ad affrontare le parti oscure della nostra psiche .Capace di rivelare noi a noi stessi, guidandoci sul percorso, spesso duro e contorto, che conduce all’autorealizzazione. Un percorso che richiede umiltà, capacità di sapersi mettere in ascolto dell’altro da sé, umano o animale che sia. Un percorso che conduce a riconoscerci parte infinitesimale del tutto.
Sono millenni che questo è il suo compito, come ci raccontano miti e leggende. Impariamo ad osservare, dunque, il mondo dal suo punto di vista, a saper interpretare il senso della sua disponibilità alle nostre richieste, vale a dire quella capacità di entrare in comunicazione con noi e con i propri simili che è il suo distintivo punto di forza. Impariamo ad ascoltarlo ed a leggere nei suoi occhi - come ha scritto Bartabas-“la bellezza del mondo prima del passaggio degli uomini”.