Australia un'altra piaga: i cavalli selvaggi
Ne sapevamo sette, di piaghe. C’è chi dice dieci. Comunque, sette o dieci, a noi sono sempre sembrate di un giustizialismo un po' sopra le righe, anche per un tipo come quel tal Faraone che, più ottuso di una piramide sbilenca, si intestardì a mettersi di traverso solo perché gli ebrei avevano deciso di tornarsene a casa loro. Comunque a sua, dell’ottuso, parziale scusante, va detto che con il Dio di quei tempi là non è che ci si prendesse gran che numero. Forse era ancora in rodaggio. Ma questa è un'altra storia.
Se ne parliamo è solo perché, notizia degli ultimi giorni, l’Australia ne ha scoperta un'altra, di piaga. Che poi sia l’ottava o possa essere l’undicesima, fate voi.
Quelle d’Egitto, ai tempi di un Dio al quale bastava meno di niente per farsi saltare la mosca al naso, furono, tanto per dare un’idea, uragani di zanzare e di mosche velenose; e poi bufere di locuste; e poi burrasche di grandine e fuoco; e poi venti rigonfi di tenebre impenetrabili; e poi l’orrore dell’acqua trasformata in sangue. E poi, tanto per far capire che se non si scherza con i santi figuriamoci con Lui, lo strazio senza fine della morte dei primogeniti. Insomma, ci siamo capiti: o con Me o contro di Me.
Questa scoperta dagli Australiani, invece, (il Padreterno, tanto per la cronaca, è scagionato con sentenza di ‘non luogo a procedere’, ma che resti a disposizione come persona informata sui fatti) si rivela come qualcosa di meno articolato, un menù con minore possibilità di scelta, ma non meno apocalittico: uno tsunami di cavalli selvaggi.
Al Gran Galà degli orrori che stanno straziando pezzo a pezzo l’insano pianeta su cui, senza colpa né merito, ci è capitato in sorte di vivere, anche l’Australia rivendica un posto a tavola. Le credenziali, un po' sui generis per chi del ramo, di tutto rispetto: strage di cavalli selvaggi.
Loro, i governanti australiani, non usano, ovvio, questo termine-strage- evocatore di scempi che mai hanno trovato a mai troveranno un perché, se non la distruttività come ragione in sé. Navigano, con gesuitica accortezza comunicativa, per il più sicuro mare del politicamente corretto: ridimensionare il numero dei cavalli selvaggi per restituire, prima che sia definitivamente compromesso, equilibrio all’ecosistema del Paese. Niente di complicato, tutto di molto semplice. E necessario. E, dunque, giusto. Insomma, poco più di una innocente sfoltitina che, a ben pensarci, potrebbe essere un bene anche per loro. Come? Nel modo più diretto ed efficace, per altro già sperimentato su scala ridotta senza che nessuno si sia fatto venire gli sturbi: elicotteri in volo e planate con tiro al bersaglio. Regole d’ingaggio due, tassative e senza contrordine: centrare la testa e stecchirne quanti più possibile.
“Sofferta decisione senza alternative” (tormentate notti insonni? Coscienza umiliata dalla impotente rassegnazione alla inevitabile necessità?) fanno sapere dal Ministero dell’Ambiente. E gli ecologisti, con il cuore a pezzi (anche loro notti intere a rigirarsi fra lenzuola madide di disperato sudore, in preda a morsi e rimorsi penitenziali grondanti colpa senza ristoro di pentimento ed espiazione da qui all’eternità) fanno dolente eco: è vero, è proprio così, non c’è alternativa…i terreni soffrono sotto il calpestio delle loro forsennate cavalcate…gli altri animali non hanno più un posto sicuro dove stare senza correre il rischio di essere travolti dalla furia delle loro cariche di Balaklava
Sembra vederlo, criniera al vento, questo inedito, originale castigo di Dio: zoccoli affilati come unghie di Arpia squassano il rinomato rigoglio dei deserti australiani, dove, prima che deflagrasse questa atomica nitrente, il verde accecante di ogni lussureggiante fioritura cospargeva, unico fenomeno al mondo, l’intero continente di filanti stelle di clorofilla; fameliche fauci mostruosamente deformate da un inimmaginabile snaturamento predatorio tritano flora e dilaniano Koala, Dingo, Talpe, Topi Saltatori e Scoiattoli Volanti, rettili di ogni calibro, anfibi di ogni caratura, ponendo fine ai loro ultimi, martoriati respiri. Altro che selvaggi, quei cavalli: cannibali!
A Camberra, dunque, nelle stanze dei bottoni s’è deciso che così dev’essere e così sarà.
A qualcuno, con tutto quello che succede in giro per mondo, potrà sembrare l’ultima cosa di cui occuparsi o preoccuparsi. Al più, potrà dispiacere un po' per quelle povere bestie che… però….se sono troppe…mica è una colpa pensare di…insomma bisogna pur fare qualcosa. Eccolo, è proprio questo lo snodo centrale del gioco delle tre carte che sa fare ogni politica di sterminio: neutralizzare la ragione con l’anestesia di quattro codarde, pusillanimi parole – ‘bisogna pur fare qualcosa’- per sdoganare quel mai rimosso spirito da “soluzione finale”, spasmo di ogni potere dispotico, che rimette in circolo brividi di un orrore mai sopito.
Ecco riaffiorare, tra le pieghe di una decisione ‘sofferta ma inevitabile’, la “Banalità del Male” di Hanna Arendt.
Dai cavalli selvaggi dell’Australia si leva una domanda: cosa accadrà quando su questo microbo del Cosmo chiamato Terra si addenseranno dieci miliardi di anime? Quale soluzione? Chi la prenderà? Chi la subirà? Qualcuno, tanto tempo fa, brindò alla guerra come igiene del mondo.Lo spumante è sempre in fresco. E l’algoritmo distribuirà i calici.