Il cavallo di Cattelan evocatore di guerra
Sono sicura che l’opera di cui vi parlerò non vi piacerà e anche se nella produzione artistica di Maurizio Cattelan il cavallo è spesso presente, intuisco che chi appartiene al mondo equestre non possa amare l’utilizzo che fa di questo animale (perché del corpo l’artista ne fa un vero e proprio uso) e la sua rappresentazione.
Ero poco più di una ragazza quando di passaggio a Torino decisi di visitare il Castello di Rivoli; erano giorni spensierati e con la stessa leggerezza passavo di sala in sala nel museo beandomi degli affreschi e di quel silenzio, fino a che tra antichi busti di marmo, mi ritrovai un cavallo sospeso sopra la testa, imbragato e appeso a una volta decorata con stucchi a rilievo.
Cattelan, attraverso il processo della tassidermia, aveva creato un’opera dissacrante che rompeva con tutti i monumenti equestri del passato; aveva imbalsamato un cavallo tirando in modo sproporzionato le gambe che per quanto allungate non toccavano terra. Questo cavallo rimaneva sopra di me, rompeva l’armonia di quel luogo, turbava inevitabilmente la mia giornata e oltre allo stupore, non poteva che provocare un senso di disorientamento. Fino a qualche minuto prima mi godevo i miei affreschi e un secondo dopo mi ritrovavo un cavallo sopra la testa e quella che credevo arte, così come l’avevo studiata, era ribaltata.
Novecento, realizzato nel 1997, è una natura morta (direi che questo è abbastanza chiaro!) ma come è proprio di questa iconografia ci ricorda la vita e Cattelan lo fa con opere, oggetti, azioni che al di là del sensazionalismo smuovono anche grandi interrogativi dentro di noi. Il ventesimo secolo è un’epoca di guerre, bombe nucleari, di grandi ideali infranti, di conflitti che ci sono stati raccontati dai nostri nonni, di cui la nostra società ha ancora testimoni viventi e che ne raccontano solo il fallimento. La scultura equestre, con il suo intento celebrativo, con la sua idea di eroismo bellico che per secoli ha rimandato all’idea di potere ed esaltazione e con lei anche la figura del cavallo rampante o coprotagonista di scene commemorative, qui muore.
Conosciamo fin troppo bene il ruolo del cavallo nella guerra nonostante nella sua indole non vi sia alcuna inclinazione al conflitto o aspirazione alla vittoria e che per sua natura è più vicino alla serenità della pace che alle lotte imperialistiche.
Nelle guerre mondiali del Novecento (ricordate non a caso il titolo dell’opera di Cattelan?) cavalli e muli parteciparono al conflitto in modo attivo non solo come parte dell’esercito nella cavalleria, ma anche come trasporto di munizioni, artiglieria e divennero cibo in tempo di carestia. Si stima che solo nella prima morirono non meno di 8 milioni di equini. Così quando pensiamo alla guerra ci è difficile pensare al cavallo come quello dei monumenti equestri, quanto piuttosto al grido di dolore del cavallo rappresentato in Guernica di Pablo Picasso.
Qui il cavallo, con le fauci deformate muore sotto ai bombardamenti con la gente di Guernica, diventa lui stesso simbolo del popolo spagnolo ed è un’immagine inevitabilmente più simile alla realtà bellica che a quella celebrativa dei monumenti che troneggiano al centro delle nostre piazze.
Nell’ultimo mese le immagini della guerra, non molto distante da noi geograficamente e vicinissima per quanto riguarda l’impatto economico, sono entrate nella nostra quotidianità e non solo. Intere città sono state bombardate e gli ucraini costretti ad abbandonare il loro paese, ma il cavallo?
Il suo ruolo non è più quello dei conflitti mondiali, di vittima anch’esso sul palcoscenico militare, ora somiglia ancora di più al cavallo imbalsamato di Cattelan, inerme, e per quanto siano allungate le sue gambe, non ha l’opportunità di correre. Cani e gatti, per quanto possibile, hanno seguito gli esuli, i cavalli invece si sono trovati paradossalmente fermi.
L’ippodromo di Kiev conta più di 300 cavalli di cui i proprietari non riescono più ad occuparsi, sia per disponibilità economica che per i collegamenti che sono venuti a mancare e anche le altre realtà equestri si trovano bloccate nel movimentare i cavalli e c’è chi decide di restare accanto a loro pur sotto il pericolo delle bombe. Qualcuno invece li libera nelle foreste.
Un’Ansa riferisce che miliziani russi avrebbero incendiato una scuderia e i cavalli, 32, sono morti nell’incendio, imprigionati, “legati ad un soffitto” dalla crudeltà di un conflitto di cui dopo oltre mezzo secolo sono ancora vittime.
Pensate a come vi siete sentiti quando avete visto i bombardamenti in tv, quando l’equilibrio della vostra quotidianità è stato sorpreso da qualcosa di tanto violento, quando avete atteso le notizie con un filo di speranza, quando avete cercato il modo di aiutare, quando volevate correre in aiuto di quei cavalli, e non solo, e non ci siete riusciti. Vi siete sentiti sospesi, privati della possibilità di agire, come il cavallo di Cattelan.
Molte federazioni stanno aprendo canali per poter aiutare con raccolta fondi i cavalli rimasti in Ucraina e un hub logistico è stato attivato in Polonia per lo stoccaggio del mangime e l’accoglienza dei cavalli che riescono a lasciare il paese. In molti in Italia e Europa offrono la disponibilità per stalle o di farsi tramite per reperire fondi. La volontà del mondo equestre, di chi ama questi animali è che quel cavallo sospeso, intrappolato e imbragato al soffitto, poco distante dal noi, non muoia. Che non ci sia un altro Novecento.
Sono sicura però che anche dopo aver letto tutto questo continuerete a non apprezzare l’opera di Cattelan.
La IHP- italian Horse Protection Association richiese l’immediata rimozione di Kaputt, altra opera di questo artista che stavolta aveva appeso alla parete ben cinque cavalli decapitati e anche la “Animals Australia” protestò quando il cavallo imbalsamato venne presentato alla biennale di Sidney. Più volte mi sono domandata se il mio stupore sarebbe stato il medesimo se l’opera che quel giorno vidi sospesa sopra la mia testa fosse stata solo un fantoccio di pezza; se avrei provato lo stesso sbigottimento se l’artista non avesse fatto uso del vero corpo di un cavallo (e mi è d’obbligo precisare che ogni animale ha avuto una morte naturale).
Nonostante questi leciti dubbi, Cattelan rimane uno dei più provocatori artisti del nostro tempo e proprio in questi giorni, dal 28 Marzo in occasione della Art Week di Milano, espone un’altra opera destinata a stupire: una statua di cera penzola dal soffitto di casa Corbellini – Wasserman. Stavolta il corpo impiccato nei bagni della galleria De Carlo, pronto per un appuntamento romantico, è il suo sosia, non più un animale impagliato!
Le opere di Cattelan dunque hanno un forte significato concettuale che può essere contestato o più semplicemente non piacere, può persino disgustarci, come quelle cose che riteniamo inconcepibili, come quelle che ci sembrano ingiuste o destabilizzanti, proprio come pensiamo sia la guerra.