Uomini e cavalli: cambiare si può, cambiare si deve
IL MONDO della nostra coesistenza con gli animali, dopo secoli di sfruttamento animale che hanno visto soprattutto negli ultimi decenni il loro massimo culmine, si sta lentamente ma inesorabilmente avviando verso un mutamento notevole e sostanziale, causato da una sempre maggiore sensibilità dell'opinione pubblica riguardo alle questioni etiche e di benessere animale.
La scienza cerca di seguire questo mutamento, tuttavia spesso essa ha orientamento behaviouristico e antropocentrico, apportando quindi scarso valore aggiunto al cambiamento, soprattutto se ad esempio si pone a supporto del mondo equestre agonistico. Maggiore interesse da un punto di vista etico, sta invece riscuotendo quell'Altra scienza, che pone realmente centrale la questione animale, da un punto di vista sociale, cognitivo e non performativo, ma orientata, questa si, ad implementare forme autentico di benessere per il cavallo.
Si parla sempre più' spesso di cognitività del cavallo, ma tale concetto non ha e non deve avere alcun valore nello sviluppare performance, esso ha invece valore nello sviluppare benessere, per il cavallo e per l'umano. Nel cavallo, notoriamente animale sociale, la cognizione ha valore solo in considerazione appunto del contesto sociale. Anche nella sfera sociale del cavallo, possiamo investigare due mondi scientifici che la investigano: il primo sinceramente datato che ancora fa riferimento a concetti di dominanza/sottomissione, preda/predatore, condizionamento, gerarchia sociale e leadership; il secondo che, più' innovativo e innovante, pone termini di interesse sulle dinamiche affiliative, sui comportamenti di evitamento del conflitto, sull'esigenza di stabilità' nella gestione dei gruppi di cavalli. In questo senso, lo scorso inverno, abbiamo presentato a Londra, durante il meeting internazionale dell' Association for the Study of Animal Behaviour (ASAB), uno studio preliminare che ha riscosso molto interesse, confrontando tre gruppi di cavalli, con diversi gradi di stabilità' sociale, durante test di esplorazione sociale di oggetti e persone sconosciute. I risultati hanno messo in evidenza l'importanza di mantenere un contesto sociale stabile per un gruppo di cavalli, per sviluppare maggiori dinamiche affiliative anche durante l'esplorazione di situazioni sconosciute e problemi da risolvere.
Altro aspetto che si sta mettendo in forte discussione è l'uso e l'abuso del condizionamento operante, giustificandolo come elemento di benessere. Purtroppo è vero il contrario, ancor di più' nel mondo equestre odierno dove, alla ricerca ossessiva dell'equitare pulito e dell'interazione perfetta, che ricorda più' quella malsana idea di società perfetta, si sono sviluppati tutta una serie di metodi che di perfetto, sempre dal punto di vista del cavallo, hanno ben poco. Pensiamo per esempio alle varie metodiche di natural horsemanship, che vengono sempre più contestate in ambito scientificio, culturale ed etico internazionale. Pensiamo all'uso insensato del premio alimentare, utilizzato per sviluppare relazione, ma che in realtà' impatta negativamente sulle aree limbico-emotive, riducendo drasticamente ogni forma di reale apprendimento e vera relazione. Pensiamo anche a tutte quelle tecniche precisistiche che vanno sotto il nome di leggerezza, straightness e artistica, che per creare un'ingannevole immagine di perfezione, squlibrano l'assetto mentale e di conseguenza anche quello fisico del cavallo, che illusoriamente e meccanicamente cercano di raggiungere. Il cavallo in natura non è un essere preda ai propri istinti o in continua competizione tra dominanza e sottomissione, questa specie ha un patrimonio ereditario cognitivo e affiliativo, con un importante significato evolutivo da preservare soprattutto quando vive la propria coesistenza con l'umano.

Francesco De Giorgio e....i \'\'suoi\'\' cavalli