Uomini e cavalli, riflessioni sull'etica guardando al futuro
In anni recenti il dibattito riguardante le varie questioni aperte di etica animale, anche e soprattutto all'interno del mondo equestre, anche all'interno di un processo di evoluzione giurisprudenziale, sta prendendo piede con sempre maggior vigore, sovvertendo anche quei paradigmi etologici e di etica equestre, che comunque restano asserviti ad un'ottica zootecnica, che non parla di benessere equino fine a se stesso, ma in funzione di fini antropocentrici.
In questo senso è necessario sviluppare un pensiero etico critico, all'interno di una cornice che decentri le istanze equestri, per dare più spazio a bisogni e piaceri equini. Il discorso riguarda anche l'addestramento animale (incluse quelle tecniche che, descritte spesso in maniera edulcorata, hanno lo scopo di educare il cavallo a rispettare l'umano), di qualunque tipo esso sia, fosse anche di stampo etologico-buddista o cognitivo-zen, in quanto l'addestramento di per sé, con il suo orientamento ai risultati, il meccanicismo, la linearità, l'ambientazione sterile, la deprivazione esperienziale e, non ultima, una matrice culturale specista, riduce la possibilità, da una parte, di preservare il patrimonio cognitivo innato di un cavallo, dall'altra, non permette a quel cavallo di vedere garantiti i diritti di soggettività, dignità, integrità ed emancipazione mentale. Anzi, in qualche modo, maggiore è il livello tecnico, maggiori sono i dubbi di natura etica che sorgono, in quanto lo sfruttamento robotico-militaresco del cavallo viene mascherato da un senso di scienza, arte e cultura, che sembrano essere dimensioni intoccabili e non sottoponibili ad un'approfondita analisi critica.
Oltre a questo, l'uso equestre del cavallo, crea un circolo vizioso di mis-conoscenza del cavallo, fuorviata dalle istanze addestrative, trasformando il cavallo in qualcun'altro, o meglio, in qualcos'altro. Ad esempio, spesso si è abituati a pensare al cavallo come un animale preda, preda dei suoi istinti reattivi, mentre invece è proprio l'addestramento equestre, sia da terra che dalla sella, a crea espressioni reattive, che poi si vogliono controllare per arrivare ad ottenere un cavallo calmo, dritto e in avanti, che nella realtà dei fatti diventa uno spettro apatico, una triste memoria che vagamente riporta ad un'idea di equinità. Come uso dire spesso in questo senso, ci sono più prede e predatori nell'industria equestre che in natura e identificare semplicisticamente il cavallo come un animale da fuga che va addestrato, è più spesso un concetto di mera comodità che di reale necessità.
Continuando su questo piano di riflessione, spesso tra l'altro si confonde l'addestrabilità con l'intelligenza e la cognizione equina, confondendo le abilità intrinseche di un cavallo con quelle estrinseche indotte dall'addestramento. Anzi, in questo senso, sono proprio i cavalli che fanno resistenza all'addestramento, che mostrano una maggiore preservazione del proprio patrimonio cognitivo e che non vogliono cedere il proprio stile soggettivo di pensiero ai dettami equestrocentrici.
Perché crescere in direzione di una comprensione della soggettività di un cavallo, non significa scegliere di addestrarlo in base ad essa, ma significa scegliere di non addestrarlo proprio grazie al pieno riconoscimento di essa. Questo richiede un grande cambiamento culturale, che non significa di riforma equestre o peggio, di riforma scientifica equestre, ma di rivoluzione paradigmatica del concetto di relazione e interazione con i cavalli.
Abbiamo piuttosto bisogno quindi di comprendere come tenere conto, nelle nostre scelte, del mondo soggettivo di un cavallo, di quel cavallo, della sua propria percezione, della titolarità del suo proprio apprendimento, dei suoi propri piaceri senza etichettarli con proiezioni antropomorfiche, delle sue proprie emozioni e del suo proprio mind-set, anche nella coesistenza con l'umano, un umano che sa decentrare le proprie aspettative e centrarsi in una prospettiva antispecista, in pieno dialogo con la sua propria Animalità, anche in interazioni molto pratiche, quotidiane e reciproche con i cavalli, in cui anche loro possano essere protagonisti delle proprie esperienze, protagonisti dei propri legami sociali intra ed interspecifici, protagonisti dei propri apprendimenti, proprietari di un proprio valore intrinseco, di un proprio pensare, di una propria dignità e di una propria vita, pur all'interno di dinamiche di contaminazione, convivenza e crescita, insieme agli animali umani.