Tor di Valle, l'amara storia del Colosseo del trotto
SONO PASSATI più di 53 anni da quando Roma ebbe il suo nuovo ippodromo di trotto in località Tor di Valle, in un vastissimo terreno racchiuso tra la Via del Mare e il Tevere zona Magliana. Per l’esattezza, fu inaugurato il 26 dicembre del 1959 con una corsa internazionale. Era la logica e avveniristica prosecuzione dell’ippodromo-gioiello di Villa Glori, nel frattempo demolito per far posto al villaggio degli atleti delle Olimpiadi ’60.
Fu progettato dall’architetto spagnolo Julio La Fuente e nella sua mente avrebbe dovuto essere un impianto misto con due piste, una appunto per il trotto e una per le corse al galoppo che avrebbe dovuto “sfiorare” le tribune e che invece non fu mai realizzata.
L’inaugurazione fu alquanto avventurosa. Il Tevere in piena fece sì che mezza dirittura d’arrivo fosse sommersa dall’acqua. La fatica dei lavoratori, guidati dall’allora direttore dell’ippodromo Augusto Cocco, consentì a Tornese, campionissimo di quegli anni, di aprire più che degnamente l’albo d’oro di una gara che è sempre rimasta come la prestigiosa conclusione dell’annata trottistica in Italia.
Gaetano Turilli, proprietario dell’Hotel Plaza al centro di Roma, fu l’imprenditore che volle e realizzò Tor di Valle (dapprima in società con i torinesi fratelli Filippi e dopo essere stato insieme a Tino Triossi un pioniere delle corse al trotto). L’architetto spagnolo, per la verità, aveva progettato un ippodromo tale da essere bello e funzionale per molti decenni a venire, grazie anche al vastissimo spazio a disposizione. Due grandi tribune coperte con un ristorante, al di sotto saloni per le scommesse. All’aperto un parterre praticamente senza limiti. Scale mobili, ascensori. E poi centinaia di box per i cavalli e un parcheggio che soprattutto con le notturne d’estate era pieno nove volte su dieci. Tutto questo ai giorni nostri si è trasformato nella classica “cattedrale nel deserto”.
ALLA MORTE di Gaetano Turilli e della moglie il cospicuo patrimonio (Plaza più Tor di Valle) fu al centro di una annosa questione ereditaria e solo all’inizio negli anni ’90 si raggiunse un accordo definitivo per cui la famiglia Papalia, reatini di origine, scelse Tor di Valle e lasciò il Plaza agli altri eredi.
E’ vecchia come il mondo la battaglia tra la punta (chi scommette) e il banco (chi tiene gioco). Ai tempi di Villa Glori ciò aveva un sapore familiare: tutti conoscevano tutti e il massimo che si poteva fare era avere una “dritta”, un punto in più da un bookmaker oppure un vantaggio in corsa da un guidatore amico. A Tor di Valle il gioco clandestino assunse proporzioni ben diverse e così una notte d’estate nel parcheggio dell’ippodromo fu ucciso a revolverate “Franchino er criminale” con la benedizione della banda della Magliana.
Punta contro banco è stato il motivo ispiratore dei film Febbre da Cavallo e La Mandrakata, con Gigi Proietti, Enrico Montesano e altri big dello schermo, girati a Tor di Valle. Piccoli capolavori, molto divertenti e molto ben recitati da colossi dello schermo ma indubbiamente tali da degradare l’ippica a un ticket vincente, dimenticando che le corse dei cavalli sono sempre e comunque uno sport con una sola finalità: selezionare i soggetti più veloci per il miglioramento della razza equina.
A tal proposito, il Derby è la massima espressione delle cosiddette corse classiche ed è sempre stato patrimonio dell’ippica romana, Villa Glori e Tor di Valle per il trotto e Capannelle per il galoppo. Ecco perché molti, nell’imminenza della chiusura di Tor di Valle, fanno fatica a immaginare che a ottobre il Derby sarà corso in un’altra sede (quale? bella domanda, perché almeno per ora sono chiusi anche i trotter di San Siro e di Agnano).
Tre episodi campeggiano nella Derby-story. Quando nel 1998 Varenne, campione in ascesa, ebbe la prima consacrazione dalla pista demolendo nel vero senso della parola il coetaneo Viking Kronos, fino ad allora imbattuto e subito dopo ritirato dall’allenamento. Quando Aprile della toscana Scuderia Kyra vinse il Derby dei bastoni. Successe che nella corsa precedente una decisione della Giuria provocò l’ira del pubblico. Invasione di pista, forma di protesta allora assai frequente. Visto che con le buone non si ottenevano risultati, dalle scuderie mosse… una mini-armata di proprietari, guidatori, artieri con armi improprie di varia natura. La pista rimase occupata ma il Derby fu salvo. Terzo e ultimo episodio, quando Liri vinse due volte. La femmina della Scuderia Orsi Mangelli volava verso il traguardo ma ci fu un black-out dell’impianto di illuminazione. Prova ripetuta e di nuovo Liri sola al comando dalla partenza al traguardo.
Altri amarcord di mezzo secolo? I milioni di zoccoli (cavalli italiani e stranieri, alcuni modesti altri campioni) che hanno calcato la pista. La presenza in tribuna di statisti come Gronchi, Saragat, Segni e Andreotti. La sfida tra il nostro Delfo e l’americano Kash Minbar. Varenne mai sconfitto a Roma, il suo strano caso doping (nel Premio Triossi ‘99 positivo alla caffeina, tutto archiviato per un vizio procedurale, si parlò di un complotto).
Tor di Valle materialmente esiste ancora ma la sua fine è stata ingloriosa. Chissà se qualcuno saprà fare in modo che Roma conservi il suo Colosseo del trotto?























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