Doping ai cavalli, la piaga degli antinfiammatorii
Gentile Direttore,mi sento chiamato in causa dall'articolo firmato da Adriano Sala sul quotidiano Libero dell'11 settembre come cavaliere, istruttore, ex Presidente dell'Associazione Arma di Cavalleria ma soprattutto come amante dei cavalli (non sono un burocrate).
Io ritengo che i termini della questione doping siano un pò diversi da come li espone il Dott. Sala.
Gli sport equestri si differenziano dagli altri perché in essi l'atleta è il cavallo. Il cavaliere è l'allenatore, l'addestratore, il preparatore atletico e l'utilizzatore. La fisiologia del cavallo non è diversa da quella umana: le articolazioni sono delicate e si diminuisce il loro logorio soltanto se sostenute da una muscolatura adeguata. D'altro canto, però, i muscoli si sviluppano soltanto se le articolazioni si flettono: l'addestramento consiste proprio nel favorire, attraverso appositi esercizi, la flessione delle articolazioni.
Ad un atleta uomo, prima di farlo correre, gli si insegna a piegare i gomiti ed a tenere le braccia nella direzione del movimento. Perchè così ottiene il massimo risultato col minimo sforzo. Così al cavallo, prima di farlo saltare, si dovrebbe insegnare l'uso corretto dell'incollatura che facilita il salto anche perchè aiuta la flessione delle articolazioni posteriori e lo sviluppo della muscolatura dorsale.
I cavalli che hanno la muscolatura dorsale sviluppata, saltano alzando molto la groppa e piegando pochissimo i garretti che quindi non si logorano.
Nel campo umano, nessun preparatore si sognerebbe di far correre un atleta che non abbia sviluppato la postura corretta nè tantomeno di obbligarlo con sistemi costrittivi(legargli i gomiti?). Perchè, invece, questo viene fatto e
tollerato nel campo equestre? Possiamo osservare che nei campi prova dei concorsi, con il benestare della federazione, viene legata l'incollatura dei cavalli in una posizione innaturale, spacciando tale pratica per addestramento. Nel cavallo, come nell'uomo, qualsiasi costrizione comporta una compensazione tanto più impegnativa quanto più la costrizione è innaturale.
Di qui la comparsa di rigidità che, col tempo, diventano vere e proprie zoppie.
Esse vengono alleviate con gli antinfiammatori che, i fautori della quota terapeutica,
vorrebbero legalizzare.
Emblematico è il caso del famoso cavaliere Pessoa, presidente dell'associazione
dei cavalieri. L'anno scorso ha partecipato a tutte le principali competizioni nel
mondo senza ottenere particolari risultati. Il suo cavallo aveva sempre le orecchie
indietro (nel linguaggio del cavallo esprime irritazione).
Poi si è presentato alle Olimpiadi ed il suo cavallo aveva le orecchie normali.
Ha sfiorato una medaglia ma si è appurata nel suo cavallo la presenza di un
antinfiammatorio. Dopo tre mesi di squalifica, lui era di nuovo in sella osannato
da tutti.
E, naturalmente, è il principale sostenitore della quota terapeutica.
In qualunque altro sport, un atleta che ha bisogno di antinfiammatori per poter competere, verrebbe messo da parte. Perchè nel nostro sport questo non avviene ma si sostiene che deve essere curato??
Perchè la maggior parte dei cavalieri fanno i commercianti e non hanno interesse ad addestrare i cavalli ma solo a venderli. Perché, se tutti i cavalli fossero ben
preparati, i veterinari morirebbero di fame.
Mi rendo conto che la mia tesi è minoritaria, ma se si vuole favorire la competizione
ad ogni costo, non ci si nasconda dietro il benessere dei cavalli che, ripeto, non ha
bisogno di medicinali ma piuttosto di una preparazione corretta.
CARLO CADORNA





















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