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  • Una donna e un cavallo: riconoscersi nella reciproca vulnerabilità
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  • Silvia Guglielmi
  • 01/12/2016

Una donna e un cavallo: riconoscersi nella reciproca vulnerabilità

Questa mia testimonianza è soprattutto dedicata al  mondo dei cavalieri e delle amazzoni.
Tutti gli umani possono trovare nei cavalli un insegnamento, un’ispirazione, una pacificazione. Ma solo un cavaliere e un’amazzone conoscono quella passione che collega cavallo e umano, una passione che volge il rallegrarsi fino all’esaltazione, e solleva in alto l’anima.
Nella gerarchia dei bisogni umani, dopo il bisogno di sicurezza, il bisogno di riconoscimento e perfino oltre il bisogno più elevato di creatività e del trovare uno scopo individuale nella vita, c’è un bisogno che l’attuale società non è organizzata per soddisfare: il bisogno di connessione con una realtà superiore, universale, che conduca oltre la quotidianità e l’individualità, in una dimensione di gioia incondizionata. 
Il bisogno di connessione con una realtà  superiore non è esotico o strano. Cos’è che sembra miracoloso nella vita? Un bambino appena nato? Un poema ispirato? La grande musica?  Qualunque cosa ci riempia di meraviglia, ci rallegri e sollevi l’anima,  è la nostra finestra sulla passione che ci connette con una realtà superiore.
Certo quella finestra non si apre spesso nel quotidiano, così condizionato dall’ambiente fisico.  Ma per i cavalieri e le amazzoni, sì.  Il rapporto con il cavallo è quella finestra. Il cavallo vive costantemente connesso con tale realtà e il dono che cavalieri e amazzoni sanno di poter ricevere da lui è – attraverso quella passione – di sperimentare tale connessione. 
Ecco perché dedico la mia testimonianza ai cavalieri e alle amazzoni, perché, se qualcuno tra essi non se ne fosse ancora avveduto, si accorga di non aver bisogno di cercare, come gli altri umani,  una finestra sulla gioia incondizionata.
Basta che per una volta, invece di condurre, segua il suo cavallo.

Era il 24 dicembre 2005 quando il van scaricò a casa il bel sauro argentino.  Ero  andata a cercarlo in capo al mondo per ritrovare in un altro argentino l’anima gentile e coraggiosa del mio cavallo più amato.
E in capo al mondo sono andata per commettere tre errori.
La felicità è l’unico oggetto che è sbagliato cercare dove lo si è perduto. Primo errore.
Il secondo è stato di cercare un’anima che non è più in un corpo,  in un corpo che ha già la sua anima. Con la sua storia e le sue ferite.
Se sono certo che il cavallo è il mio destino, non è impossibile che io stesso appartenga al destino del cavallo. (Giorgio Manganelli, La palude definitiva) Il terzo errore è stato quello di non sapere che non ero io a scegliere un cavallo, ma che il nostro era un incontro.
Tango, il bel sauro,  non è Diego,  il mio cavallo più amato. Diego era un’anima innocente che aspettava soltanto di essere riconosciuta  per fidarsi e affidarsi.  Tango è un guerriero con mille ferite nell’anima che neppure lui sa più. Diego aveva un cuore grande e luminoso facile da raggiugere. Tango ha un cuore grande con spazi oscuri che non ho saputo riconoscere.
Quegli spazi oscuri  hanno messo fine al nostro rapporto. I traumi del mio corpo, per quanto gravi, non erano nulla a confronto con quelli dell’anima: il tradimento, la delusione, la perdita del coraggio e della fiducia.
Abbiamo tentato, io e il mio cavallo, di ricostruire il nostro incontro, ma oramai la fiducia, la sintonia ci erano estranee,  la tensione era come un laccio che ci teneva insieme ma tirava, tirava... si è rotto e ci siamo perduti.
Non ho più avuto il coraggio di montare. Che era per me l’essenza della gioia. Questa dolorosa rinuncia ha rappresentato la fine di una dimensione essenziale della mia vita.
Vedere Tango, stargli vicino, significava rinverdire continuamente questo lutto. Accanto a lui le mie emozioni erano contraddittorie tra amore e paura. Oggi so che non mi chiedevo come lui vivesse la nostra relazione, nella riduttiva convinzione che tutto dipendesse da me e che il suo comportamento fosse solo una reazione al mio. E quindi mi colpevolizzavo per non essere capace di fidarmi e così ridargli fiducia. 
Tra cavaliere e cavallo si parla di binomio, ma in realtà i ruoli non sono mai simmetrici come in un binomio. Anche nei rapporti più riusciti il cavaliere  è convinto di detenere  il potere dell’azione e al cavallo attribuisce quello della reazione.
Anch’io avevo tale convinzione e dopo il tentativo fallito di ritrovare il mio coraggio e la mia fiducia, ho mollato. Tango era diventato lo specchio della mia incapacità, della mia forza perduta. Non andavo più da lui, nonostante fosse a pochi metri da casa, mi limitavo a guardarlo dal balcone, guardarlo vivere la sua vita di sempre con la sua compagna, l’altra cavalla. Brucare, contemplare, riposare. E pensavo che la mia assenza gli fosse indifferente. E soffrivo. E cercavo di non pensarci. Fino al giorno in cui ho scoperto di essere malata.
Oggi, alla luce dell’esperienza che ho fatto con il mio cavallo grazie ad Alessia Giovannini, posso dire che il titolo della mia testimonianza  potrebbe essere  Ammalarsi e ritrovare la gioia perduta.
Quando ci si ammala gravemente si diventa esploratori. Non volendo sottopormi alle terapie protocollari, ho intrapreso cure alternative  che mi hanno confermato ciò che già faceva parte delle mie conoscenze, ma non dell’esperienza personale: la relazione profonda che c’è  tra le emozioni che accompagnano i lutti, le perdite, i sentimenti depressivi,  e l’ammalarsi del corpo. Soprattutto se la parte emozionale non viene accolta ed elaborata con consapevolezza.
Ecco che facevo esperienza della connessione tra la perdita di quella parte così importante della mia vita -  il rapporto con il cavallo -  e la mia malattia.  E in questa connessione ho cercato la cura.
Avevo conosciuto Alessia e il suo lavoro con Cavalli Maestri in un seminario e avevo condiviso totalmente la sua visione di rovesciamento della prospettiva: i cavalli sono Maestri di competenza emotiva, i cavalli ci possono indicare il cammino  verso una nostra consapevolezza delle emozioni.
Chiesi ad Alessia di aiutarmi a far pace con il mio cavallo.
“Due strade incontrai nel bosco e io scelsi quella meno battuta, ecco perché sono diverso” scrive Proust. Sono trent’anni che vivo con i cavalli, trent’anni di  grandi sodalizi e spericolate avventure.  Avevo la presunzione di conoscerli e di saper interagire con loro  nel modo migliore. Quante scoperte dovevo invece ancora fare sul mio cavallo! E insieme a lui e ad Alessia, quante strade dovevo ancora percorrere. Strade fuori mano. Vie impervie, tortuose. Un trekking dell’anima.
•La via della Vulnerabilità:  lastricata di paura e di vergogna. La via  che i guerrieri non vogliono percorrere. Forti e stoici. Attenti a nascondere le ferite. Ma sulla via della vulnerabilità ci siamo incontrati. Lui come me.  E scoperte le ferite, ce le siamo medicate vicendevolmente. Possiamo aver paura e non fuggire. Possiamo essere feriti senza vergognarcene. Così una volta io proteggo lui e un’altra lui protegge me.
•la via dell’Ombra: ho creduto che sarei stata capace di illuminare le ombre nel suo cuore, quando non ero certa di distinguere neppure le ombre nel mio. E lui mi ha detto  dove c’è tanta luce le ombre sono più scure. 
•la via del Perdono: sono triste – mi ha detto la lacrima che scendeva dal suo occhio socchiuso. Per ciò che ho fatto accadere tra noi. Non volevo. Non so se posso attraversare la palude. Sono triste. Per me e per te. Alessia dice non lo lasciare nella palude, tiralo fuori. Con il cuore spezzato dalle nostre tristezze ho cominciato a giocare a saltare a promettere carrube e carote. Ci siamo tirati fuori insieme. Io perdono lui e lui perdona me. Io curo lui e lui cura me.
•la via dell’Autenticità:  se frigno, mi lamento e vado lì per vedere se lui mi ama e mi segue,  lui se ne va a brucare Se sto lì, senza secondi fini,  espongo il mio dolore o la mia paura, lui mi avvolge e mi conforta.  
•la via della Correzione: lui si muove per me. Con l’aiuto della cavalla sua compagna mette in scena come stanno le cose e come devono stare. Tout court.
•la via della Fiducia: Ora non si tratta più di misurare l’attaccamento attraverso lo strigliare, il dare leccornie, il fare giochi di addestramento. Ora io vado a casa sua, mi siedo sotto il leccio e sto lì, lui alza lo sguardo, mi vede e poi continua a brucare. John Bolwby lo definisce stile di attaccamento sicuro. I tratti che maggiormente caratterizzano questo stile sono: sicurezza nell’esplorazione del mondo, convinzione di essere amabile, capacità di sopportare distacchi prolungati, nessun timore di abbandono, fiducia nelle proprie capacità e in quelle degli altri, Sé positivo e affidabile, Altro positivo e affidabile. L’emozione predominante è la gioia.
Mentre rileggo ciò che ho scritto, alzo lo sguardo e dalla finestra vedo il mio cavallo e la sua compagna che brucano sereni nel paddock. Penso che nulla è casuale  e che ogni evento e ogni incontro della nostra vita si verifica perché serve a illuminare il nostro cammino. Soprattutto quando sul cammino sembrano scendere  nebbia e tenebre  e non si vede avanti. I cavalli sono il mio corrimano nella nebbia, sono la mia luce nelle tenebre. Con loro non mi perderò.

 

 

 

 

 

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