Adriano Capuzzo, memorie di una allieva anomala
DIFFICILE aggiungere qualcosa al ritratto ufficiale di Adriano Capuzzo disegnato dalle toccanti parole pronunciate dai suoi allievi durante la cerimonia funebre che si è tenuta - proprio come a lui sarebbe piaciuto - sullo sfondo dei prati del maneggio di Tor di Quinto. Il cavaliere, il tecnico, il brillantissimo presidente del Comitato Regionale Lazio ha avuto, nel momento dell’ultimo addio, il saluto di quanti l’hanno visto all’opera nei lunghi decenni da lui dedicati all’equitazione. Io - che sono stata una sua allieva assolutamente anomala, e che sono la proprietaria dell’ultimo cavallo che ha voluto montare in occasione dei suoi ottant’anni, un sauro di nome Vouga da lui molto apprezzato per il suo buon addestramento - posso raccontare aneddoti meno conosciuti.
Adriano Capuzzo ha accettato di insegnarmi quel che sapeva sui cavalli per un unico fondamentale motivo: l’avevo conquistato con la mia voglia di imparare. Poiché ero montata in sella dopo i quarantacinque anni, e dunque ero destinata a combinare poco o nulla sul piano dell’agonismo, al quale ho subito rinunciato, avevo deciso di “vendicarmi” della mia pochezza leggendo tutto quel che era possibile sui cavalli e il rapporto che nei millenni l’uomo aveva intrecciato con loro. E di capire - almeno sul piano teorico - quanto più potevo delle tre discipline olimpiche che gli erano care: concorso completo, dressage, salto ostacoli. Da questa passione - unita alla testardaggine nel tenere i miei cavalli con una cura che suscitava la sua sincera ammirazone - erano nati dei romanzi e dei racconti. L’ultimo titolo, “Campo di prova”, è dedicato proprio a lui, ad Adriano, definito “magister equitatus”.
Per una dozzina d’anni Adriano mi ha portato in tutti i possibili concorsi, facendo con me la perlustrazione e spiegandomi le “trappole” disseminate sul percorso ( a volte da lui giudicate poco cavalleristiche). Quando non era più speaker a Piazza di Siena, preferiva lasciare il suo posto in tribuna d’onore e venirmi a raggiungere nel settore della stampa, per spiegarmi le performances di cavalli e cavalieri. Sono stata accanto a lui durante le combattutissime selezioni degli juniores laziali per la Fiera Cavalli. Gli ho fatto da segretaria quando giudicava in dressage o in equitation. L’ho accompagnato a Verona dove è stato gudice al premio Caprilli assieme a Piero D’Inzeo e al colonnello Nava.
Due o tre volte a settimana veniva a seguirmi al circolo Cascianese accolto dalla ruvida gentilezza di Franca D’Angelo e in seguito di sua figlia Paola che era stata sua allieva, (giungendo a partecipare agli Europei di completo con una cavalla di nome Ottavia). In sella lo deludevo quasi sempre. Ma ogni volta ricominciava con la stessa tenacia. D’estate le lezioni si spostavano a Manziana, dove lui aveva una casa accanto alla quale era stata costruita una magnifica scuderia, poi ceduta. Nel circolo “La Mola” di Antonio Gentili, completista, istruttore e suo allievo fin da bambino, Adriano si sentiva in famiglia. Ed è in quella scuderia che è voluto andare l’ultima volta che è uscito, cinque giorni prima di salutarci per sempre. Così come è voluto venire al circolo Due Ponti, a trovare il mio istruttore Matteo Sorgoni, anche lui un tempo suo allievo. Poche settimane prima eravamo andati con Antonio e il suo baio Iroko nella Sabina, da Stefano Bracciaroli e da sua moglie Francesca, a vedere la loro nuova scuderia, seguendo su una jeep i due cavalieri su certi pendii piuttosto sgarrupati, che gli ricordavano lo “scivolo” di Montelibretti, dove s’era preparato per le Olimpiadi del ’56. Con i suoi allievi ha passato i suoi ultimi compleanni, che cadevano l’11 agosto: a Stefano e ad Antonio, che erano venuti con le loro mogli a festeggiarlo a casa mia, il giorno dopo ha mandato questa mail: “Illustri Giovani ! Non sarà facile per me dimenticare la serata di ieri. La vostra affettuosa presenza ha stimolato in me un sentimento di gratitudine nei vostri confronti che arricchisce i valori della mia vita, rendendomela veramente ‘da non perdere’...finchè sarà possibile. Un abbraccio affettuoso Adriano Capuzzo”.
Adriano parlava della sua malattia con illuministica precisione, senza nessuna ipocrisia. E fino a quando gli è riuscito, ha voluto e saputo metterla da parte. Lo ricordo, di ritorno da una cura fatta a Milano, accantonare i suoi pesanti malesseri per seguire la giovane figlia di una mia amica alla vigilia di una gara di dressage: “ la ragazzina può far bene” diceva di Alja Freier, che ha poi scelto la disciplina del Completo e quest’anno ha vinto il Trofeo Allievi Emergenti. Adriano mi aveva confessato una speranza: quella di riuscire a vedere le Olimpiadi di Londra. E’ un traguardo che gli è mancato. Ma mi piace pensare che dal suo paradiso (lo immaginava simile ai Pratoni del Vivaro: una lunga distesa di colline verdi con dei bei cavalli che pascolavano in libertà) possa seguirle egualmente.





















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