In Crimea, guerre e cavalli.
Nell'atroce invasione dell'Ucraina, che stermina civili e animali, i cavalli come arma da battaglia non compaiono. Questo erbivoro, sostanzialmente mite, che nei millenni ha accompagnato l'uomo nelle sue attività più cruente - pensiamo alla guerra e alla caccia - è ormai superato dalla tecnologia. E c'è un film, del 1954, di Francesco De Robertis, intitolato "Carica eroica" che ricorda la carica del reggimento Savoia Cavalleria che viene considerata l'ultimo atto di guerra della cavalleria italiana, avvenuta il 24 agosto del 1942 a Isbuscenskij, nella Russia orientale.
Il film precisa con una didascalia che i personaggi tratteggiati "non hanno alcun riscontro con la realtà storica", e sappiamo - l'ultima parola va agli storici militari - che in quella stagione sono state numerose le mattanze di umani e non umani da iscrivere nell'orribile albo del conflitto. Il film di De Robertis - dove ha una piccola parte nei panni di un soldato siciliano l'esordiente Domenico Modugno - è magniloquente, pomposo, in cerca di una giustificazione storica all'eroismo di quei militari che riuscirono a forzare un accerchiamento, lasciando sul campo decine di vittime (gli storici parlano soprattutto di uomini, mai di cavalli periti sul campo. Sta di fatto che nella sola prima guerra mondiale morirono dieci milioni fra cavalli, muli e asini). E del resto, che dire della carica dei "Seicento del Balaklava", meravigliosamente evocata con acre ironia dal regista Tony Richardson nell'omonimo film in cui si narra dei seicento uomini della cavalleria leggera inglese massacrati (con i loro cavalli) dai cannoni nel 1854 nell'assurdo tentativo di strappare ai russi la vallata del Balaklava, durante la guerra di Crimea, dove si combatte ancora oggi, 170 anni dopo?
Eppure questa volta, nell' invasione Ucraina, gli animali hanno una loro forte presenza. Li vediamo in braccio agli sfollati che fuggono portando con sé le loro bestiole. Accanto ai cadaveri (indimenticabile la foto del cane, legato alla bicicletta di un civile ucciso nelle strade di Bucha, che aspetta qualcuno lo liberi). Negli zoo, dove sono rimasti senza cibo né acqua, come è accaduto anche in molti canili e in tante scuderie. Per la prima volta - ed è una novità rilevantissima - nei soccorsi alle popolazioni devastate dalla guerra, è stato contemplato anche il soccorso animale. Finalmente, di fronte all'orrore di una aggressione che massacra senza risparmio i civili, ci si rende conto che molte vite umane hanno attorno a loro stesse un addentellato affettivo di altre esistenze non umane. Fino alla Seconda Guerra Mondiale le guerre erano sostanzialmente scontri tra eserciti regolari. Tutti i belligeranti dovevano osservare il principio della distinzione tra militari e civili, con l’obbligo di rispettare i civili che non prendevano parte alle ostilità. Certo, il principio veniva spesso violato, ma era pur sempre nell’interesse di ciascun belligerante conformarsi a esso. Ora non è più così e la maggior parte delle vittime è composta da persone che non hanno mai avuto in mano un'arma. Le città sono fronti di guerra, e con loro paesi, campagne, uomini e animali.
Michele Serra, grande giornalista, ha scritto da par suo un articolo sulla devastazione dell'Ucraina (e di ogni altra guerra, perché noi abbiamo avuto, nella nostra storia mediatica, guerre in primo piano come questa e guerre "in ombra" come quelle della Siria) in cui si legge: “Un animale che muore in guerra non ha nemmeno la magra consolazione di sentirsi martire di una giusta causa. Non ne sa niente e niente vuole saperne, un gatto o una pecora, delle nostre beghe. Sotto le bombe un animale muore e basta, nessuna ragione giusta, nessuna ragione sbagliata. Semplicemente: nessuna ragione".
Le geopolitiche ragioni degli uomini non riguardano gli animali, che non riescono a difendersi e possono soltanto morire. Si pensava, si sperava che, dopo il feroce "secolo breve" lo scontro bellico fosse stato messo in pensione nella civilissima Europa che per settant'anni ha avuto guerre limitrofe (non dimentichiamoci i Balcani) o guerre lontane (pensiamo allo Yemen e al Congo). E invece no: carri armati, missili, e relativa ferocia sono al lavoro fra di noi. E anche i cavalli: sono i cavalli di Frisia, cavalletti metallici avvolti nel filo spinato, usati a metà del 1600 per la prima volta nella regione olandese della Frisia per fermare le armate. Come a dire che l'orrore cambia volto, ma non si dà pace.