In home page la Dea Epona tra due cavalli. qui sopra la pietra del magdaleniano riproducente un cavallo e una venere steotipigia
8 marzo, donna e cavallo sui sentieri della psiche
CHE TRA LE DONNE E I CAVALLI esista una sorta di affinità elettiva, la saggezza popolare, le tradizioni culturali e la storia dell’arte ce lo hanno testimoniato da sempre. Per renderci conto, però delle ragioni di questa “assonanza” che a me, in quanto donna e appassionata di cavalli, suona altamente gratificante, bisogna fare i conti con almeno tre ambiti del sapere umano: la psicologia, l’etologia e l’antropologia culturale.
C’è una domanda, infatti, che sorge spontanea: cosa avranno mai di così particolare questi benedetti animali dal punto di vista simbolico, così come da quello comportamentale, per essere tanto spesso e in tante culture diverse associati al femminile?
E’ fuor di dubbio che, tra tutti, il cavallo sia uno degli animali-simbolo più universali. Assieme a lui, o forse sarebbe più esatto dire per suo tramite, ci sono giunti dagli angoli del mondo più remoto miti, fiabe leggende e immagini ancora in grado di parlare alla nostra vita interiore mobilitando emozioni profonde .
Ovvio si dirà, insieme all’uomo il cavallo ha costruito imperi e civiltà non solo dal punto di vista storico-politico, ma anche economico e culturale. Giusto. Ma questo con le donne ha avuto, almeno nel passato, ben poco a che spartire.
Eppure nella Britannia e nella Gallia celtiche, la dea della fertilità, quella che vegliava sul ciclo vita-morte-resurrezione, era raffigurata con la testa di una cavalla e…si chiamava Epona! A lei così come ad altre divinità femminili, da Ecate a Diana, era sacro il cavallo in quanto animale a sua volta associato, nella memoria mitologica, alle acque e alla terra, alla divinazione, al rinnovamento periodico della vegetazione, al rinascere della vita. Anche la Demetra arcaica era spesso raffigurata con la testa di cavallo e, insieme a Poseidone, è la madre di Arione (cavalcatura di Adrasto nella spedizione contro Tebe e in seguito di Ercole) velocissimo, salvatore degli eroi a lui affidati e dotato, come molti cavalli mitici, della facoltà di parlare. Il cavallo, probabilmente proprio per la ritmicità della sua andatura capace di evocare quella materna e quindi di riportare alla coscienza antichi vissuti prenatali, è fortemente associato al femminile e forse ( ma qui si aprirebbe un capitolo lungo e molto complesso) all’antico culto delle dee madri. Mi piace solo sottolineare come nell’anno 2000 lungo il corso della Senna al centro del bacino parigino sia stata rinvenuta, durante gli scavi archeologici di un villaggio risalente al magdaleniano, una pietra recante l’incisione di un cavallo al trotto affiancato a una figura femminile steotipigia.%%newpage%%
L’ASSOCIAZIONE DONNA-CAVALLO, almeno nell’immaginario simbolico collettivo, percorre dunque i sentieri della vita psichica più profonda, quelli che ci riconnettono in un certo senso alla domanda fondamentale intorno al significato della vita e quindi, ineluttabilmente, della morte.
Si tratta di una femminilità arcaica, quella evocata da questo quadrupede misterioso, fiero e insieme disponibile: quella di una donna libera, padrona di se stessa e forte della consapevolezza delle proprie potenzialità. Un modello espresso dalla leggenda delle amazzoni, ma anche dalla mitologia greca che vuole sia stata proprio Minerva l’unica capace di domare, con un morso d’oro, Pegaso il cavallo divino balzato fuori dal collo mozzato di Medusa e figlio di Poseidone dio del mare .
Ma il contenuto di esperienza e di sapienza sedimentato nei simboli, così come nelle fiabe e nelle leggende, è in grado di rivelare anche conoscenze reali, non solo sulla natura del cavallo, ma anche sui bisogni e sulle attitudini psicologiche degli esseri umani che gli sono compagni.
Cosa hanno allora in comune le donne e i cavalli concreti?
Sicuramente entrambi dispongono (o nel caso delle donne sarebbe più esatto dire sanno utilizzare), quel particolare tipo di intelligenza che recenti studi psicologici hanno definito come “emotiva”.
Il cavallo, preda dei grandi carnivori, per la sua condizione originaria di erbivoro, ha dovuto sviluppare al massimo quella capacità di intuire il pericolo e di reagire rapidamente ad esso che è diventata per lui una sorta di “forma mentis” prevalente.
Questa potenzialità mentale, unita al suo essere un animale programmato per vivere in branco, si è trasformata, nei millenni trascorsi a fianco dell’uomo, in una sorta di misteriosa capacità di cogliere i nostri stati d’animo e di entrare rapidamente in sintonia con essi, amplificandoli.
Chi ha avuto modo di vivere a stretto contatto con un cavallo sa quanto vasta sia la sua capacità di percepire situazioni o atmosfere particolari e di inserirsi, a volte in modalità fin troppo creative, nella vita degli esseri umani che lo circondano e che lui tende a considerare a tutti gli effetti membri del suo gruppo.
Per poter comunicare con lui pienamente occorre dunque parlare il suo stesso linguaggio saper utilizzare cioè il registro proprio della vita emotiva: quello dei gesti, della tenerezza, della capacità di intuire gli stati d’animo e alle volte le paure del nostro silenzioso compagno. E di tutto questo le donne sono maestre!
Non è mia intenzione riaprire in questa sede l’antica diatriba se la mente femminile inclini più verso la componente logico-razionalistica o verso quella intuitivo-emotiva.
Molto probabilmente, però, per una serie di ragioni storico-culturali che sarebbe troppo lungo e complesso affrontare in questa sede, le donne sembrano essersi sapute sottrarre, almeno in larga misura, a quel “principio di impersonalità” che massificando esperienze e aspirazioni, banalizza la diversità e la ricchezza dell’esistenza determinando un “tipo ideale” umano nel quale la componente intellettualistica diviene straripante a tutto discapito di quella emotiva.
La indiscussa e ormai universalmente riconosciuta superiorità femminile nel curare e addestrare i cavalli trae la sua origine quindi dalla capacità, non sempre e non necessariamente consapevole, di sapersi porre nei loro confronti all’interno di una relazione capace di coglierli in maniera doppia: come singolo soggetto (nella sua individualità e nelle sue attitudini) e contemporaneamente come referente simbolico.
Un tipo di relazione fortemente emotivizzata, che le donne sanno intessere , una relazione che, dando spazio e voce alle nostre pulsioni più profonde, è anche in grado di preservarci da quel trasbordare della razionalità che sembra essere una delle cause di molte delle nevrosi moderne.