Sara Del Fabbro, la ragazza che vuole essere un fantino
Pisa, Ippodromo di San Rossore, è una giornata di fine ottobre, ma sembra ancora estate.
C’è una bambina che si sporge sul tondino, in punta di piedi guarda i cavalli. Ha appena partecipato alle attività di Ippolandia, guardato i dromedari e ora vuole giocare coi cavalli tenendo tra le dita una moneta.
“Su chi puntiamo?” chiede alla madre alle sue spalle e lei alza le spalle. “Non saprei,” le risponde.
“Beautiful Cindy!” Le suggerisco allora io in un soffio.
"E poi c’è una ragazza” potrei scrivere ricordando John Fante in un suo romanzo, che il 7 settembre in corsa all’ippodromo di San Siro è trascinata in una caduta spaventosa, una di quelle che ti lasciano con una brutta sensazione addosso finché non sai che i quattro fantini coinvolti stanno bene, chi più chi meno, che solo un cavallo è stato abbattuto e che lei, unica amazzone del gruppo, ha una clavicola spezzata.
Quella ragazza è Sara Del Fabbro e dopo meno di due mesi dall’operazione per la frattura è tornata a vincere a San Rossore con la sua cavalla prediletta e a stravincere il 5 Novembre a San Siro, di nuovo, per cercare la sua rivincita su quello stesso terreno e trovarla nelle prime quattro corse in programma. Il suo primo poker di vittorie, tra le più importanti perché un fantino torna sempre sulle piste che non è riuscito a concludere.
E io che l’ho vista cadere a Milano, ricominciare a vincere a Pisa e tornare a stravincere a San Siro, per prima cosa le domando: "Ma un fantino non ha paura?” ed è una cosa piccola, forse stupida, ma è quello che pensiamo tutti noi che rimaniamo a terra, ai bordi della pista e che li vediamo passare in un battito di ciglia.
Sara è giovanissima, ha compiuto a Luglio 23 anni, ma non ha mai pensato di fare altro se non la fantina e tutta la sua infanzia, grazie alla madre, è gravitata attorno ai cavalli, ai maneggi (in particolare attorno a quello di Giuliano Rota, ex fantino in siepi) e a questa passione così forte a cui anche la famiglia si è dovuta piegare. Così quando ha solo 15 anni sceglie l’Inghilterra, ed è una scuola per fantini quella che Sara decide di frequentare. Conseguito il patentino, continua a migliorare trovando un lavoro lì con l’allenatore Michael Bell per quasi quattro anni. In seguito tutto è esperienza, è impegno, incontri che la portano a vincere per poi tornare in Italia e continuare a farlo.
“No - mi risponde- un fantino non ha tempo di aver paura. Quando mi sono operata volevo che i giorni passassero in fretta per poter montare ancora e quando sono in sella non penso ad altro che a correre, che ad aiutare il cavallo nella pista. Nella gabbia ci sei solo tu e non c’è spazio per altro, meno che mai per la paura di entrambi: c’è la voglia di correre e l’attenzione a non perdere un’occasione, a trovare il varco che ti fa passare e a volte ci sono gli errori, ma la paura mai.”“E poi cosa c’è?” chiedo ancora.
“C’è la velocità, l’adrenalina, la competizione.”
“E la forza? La forza di un fantino conta per vincere?” Sara risponde con una risata, una di quelle pulite, schiette e sincere.
“Guardami! Potrei impormi su un corpo che supera il mio peso di oltre quattro quintali? Avrei potuto farlo quando ero ancora più giovane e correvo in Inghilterra? Ero solo una ragazzina! Allora ho sopperito a questa mancanza con la collaborazione, con la sinergia che cerco di creare col cavallo, spingendolo a fare quello che voglio con delicatezza, senza aggressioni."
"Senza frustino? Dicono che hai una mano delicata,” le domando.
“Con un suo uso più mentale che fisico, come incitamento. La frusta è necessaria, ma come una sicurezza e non bisogna mai associare la corsa ad un dolore. La corsa legata ad un brutto ricordo è solo deleteria per un cavallo.”
E quello che fa un buon fantino, così si dice, è anche un buon cavallo e quelli della scuderia Botti sembrano fatti per vincere negli ippodromi assieme alla capacità di questa jockette di saperli interpretare, di sapersi lasciar ispirare dai grandi, creandosi la propria identità. Sara sa vincere sia correndo in testa con un’ottima distribuzione delle frazioni o impiegando il cavallo all’attesa riuscendo poi a piazzare allunghi vincenti. Non può essere solo una questione di discarico riservato alle donne; in questo momento d’oro di Sara riaffiora l’Inghilterra, l’esperienza in America in quel modo di sgabbiare, ma è anche la sua capacità di saper ascoltare gli allenatori, di riuscire a modulare il suo modo di correre con i loro suggerimenti e una volontà fortissima di farcela che è ancora quella che l’ha fatta entrare nella British Racing School.Quando a San Rossore la vedo correre verso le gabbie, la sua schiena si confonde tra quella degli altri fantini; i colori delle loro giubbe e il loro girare i cavalli mi ricorda un quadro di Degas. Non distinguo più Sara dagli altri e forse è quello che lei vuole, che “quella ragazza” che giovanissima ha deciso che sarebbe diventata una fantina ha sempre desiderato.
“Nella sala fantini siamo amici, non ci sono distinzioni di sesso e in pista gli altri sono avversari; è solo questo.” Mi risponde così quando le chiedo come si pone il mondo maschile nei suoi confronti. Le velleità femministe, anche se non quelle femminili, rimangono fuori dall’erba degli ippodromi, e a questo punto sembrano solo un mio capriccio che me ne sto sulla tribuna con il biglietto della mia scommessa tra le dita, orgogliosa che proprio una donna corra col cavallo che ho scelto.
C’è una bambina, come ho detto all’inizio, che con una moneta compra una corsa e in quei mille metri possiede un cavallo, Beautiful Cindy, che vince.
"Poi c’è una ragazza”, come scriveva John Fante in Chiedi alla Polvere, che voleva essere fantina, non “ingannata” ma convinta “dall’idea che felici fossero quelli che si affannavano, e voleva essere dei loro.”