Ippoterapia, finalmente se ne discute in Parlamento
IL PERCORSO del riconoscimento delle capacità terapeutiche e coterapeutiche del cavallo - nell’ambito delle diverse forme di Terapie Assistite dagli Animali (AAT) e di Attività Assistite dagli Animali (AAA) - sembra giunto alla tappa finale della regolamentazione legislativa. Sono, infatti, in discussione presso la XXII Commissione permanente Igiene e Sanità del Senato tre disegni di legge (Tomassini, Thaler Ausserhofer, Massidda) che si auspica conducano al definitivo traguardo della istituzionalizzazione della Riabilitazione Equestre (RE) e dell’Ippoterapia, generalmente intese come Terapia per mezzo del cavallo (TMC). E’ noto che la TMC ha origini che si perdono nella storia dell’atavico rapporto uomo-cavallo e negli ultimi 30 anni numerose indagini scientifiche ne hanno oggettivamente confermato quanto empiricamente evidenziato da lunghissimo tempo. Si sono approfonditi gli aspetti biomeccanico ed empatico, sono stati definiti differenti protocolli terapeutici per i più variegati quadri nosografici umani, sono stati scientificamente documentati i benefici effetti derivanti dalle terapie con l’ausilio del cavallo o con l’apporto determinante di questo nobile animale. Le società umane più evolute lo hanno affrancato dai compiti più gravosi e di utilità prettamente materiale (trasporto e lavoro) e ne hanno riconosciuto ed apprezzato la sensibilità e l’indubbio contributo anche nel campo delle terapie di gravi forme psichiche e motorie.
Ora che si è giunti, anche in Italia, a codificare legislativamente i campi di intervento e le professionalità mediche necessarie a garantire e tutelare il paziente umano, sarebbe opportuno verificare se a tale nobile ruolo del cavallo, corrisponda un altrettanta sentita e condivisa disciplina sui requisiti infrastrutturali e di management necessari a dissipare le perplessità ed i ragionevoli sospetti che non si tratti di un ulteriore “servizio di utilità” che l’uomo pretende dalle specie animali di cui “ama” circondarsi. Si tratta, cioè, di stabilire se la qualità di vita del cavallo possa garantire gli auspicati benefici effetti terapeutici. A livello scientifico è stato dimostrato, infatti, che il cavallo utilizzato nelle terapie, soprattutto nel campo psicologico, è emotivamente coinvolto a tal punto che sarebbe opportuno prevedere dei veri e propri tempi di ristoro e che, in ogni caso, qualsivoglia utilizzo terapeutico o coterapeutico del cavallo necessiti di accorgimenti infrastrutturali e di management atti a garantirne l’equilibrio emotivo, requisito fondamentale per ottenere affidabili risultati terapeutici. Per rispondere a tali requisiti è oltremodo necessario che i luoghi ed i tempi di riposo, di interazione sociale intraspecifica e di attività cinetica siano garantiti attraverso specifici requisiti minimi strutturali e di management. Su tali aspetti il dibattito, il confronto e le previsioni normative appaiono assenti o scarsi, sbilanciati dalla parte dell’uomo e poca o nessuna considerazione è attribuita ai requisiti che dovrebbero avere le strutture per far si che venga tutelata l’integrità animale, requisito fondamentale per una TMC propriamente detta.
La realtà dei maneggi italiani, nella stragrande maggioranza dei casi, è a tutti nota; non esistono spazi e tempi a dimensione di cavallo. Egli, non esso, non ha quasi mai a disposizione box idonei al soddisfacimento dei suoi bisogni etologici, i paddock dove poter svolgere le fondamentali attività locomotorie e di interazione sociale (grooming) sono un lusso che pochi vogliono o si possono permettere, i maneggi sono appendici urbane per lo svago dell’uomo che scandisce freneticamente i tempi dell’uso del cavallo e non dell’interazione con il cavallo. Almeno nel campo della TMC è necessario ribadire, soprattutto a livello normativo, che è fondamentale – per coerenza dell’approccio terapeutico – tradurre in termini di requisiti infrastrutturali e di management quanto riconosciuto al cavallo in tema di sensibilità ed empatia, conditio sine qua non per il suo ruolo terapeutico. Si tratta in buona sostanza di affermare e prevedere che il terapeuta cavallo insieme agli altri componenti dell’equipe socio-pedagogico-medica deve potersi dedicare alle terapie con il “camice bianco”, altrimenti si tratterà, ancora una volta, di una forma alquanto sofisticata di sfruttamento e sofferenza animale.
Prof. Michele Panzera
Ordinario di etologia veterinaria e benessere animale dell’Università di Messina