Aachen, ancora Olanda, Dubbeldam campione d’Europa
E’ finito il Campionato d’Europa d’equitazione di Aachen, con la finale individuale di salto ostacoli. Ha vinto, e sta diventando un’abitudine, un cavaliere olandese: Jeroen Dubbeldam, 47 anni, sposato con Monica, tre figli, già vicecampione olimpico con la squadra, Campione del Mondo a squadre ed individuale in carica e Campione d’Europa a squadre proprio in Germania, solo tre giorni prima della finale individuale.
Perché l’Olanda stia dominando il salto ostacoli individuale e sia la squadra da battere tra un anno all’Olimpiade di Rio de Janeiro, è stato oggetto di un altro articolo qui su Cavallo 2000. Quello che va aggiunto per rendere il giusto omaggio al neo campione europeo è che nonostante quattro giorni di gare lui e Zenit, il suo cavallo, non abbiano commesso un solo errore nei percorsi. Straordinario. Ma…
Ma quattro giorni di gare sia pure intervallati da uno di riposo – e questo è uno degli argomenti da trattare alla fine di questa manifestazione, sono davvero troppi. Anche perché i percorsi disegnati da Frank Rothenberger sono stati uno più difficile dell’ altro. Per carità siamo ad un campionato europeo e chi vuol vincere deve dimostrare di saper superare difficoltà e combinazioni complicate al limite. Ma è proprio questo il problema: l’affollamento del calendario del salto costringe anche un europeo o un mondiale a sbrigarsi in pochi giorni. Col risultato che già dopo tre giornate di gare, alcuni cavalli avevano la lingua di fuori e certe prestazioni sono state al di sotto del minimo sindacale.
E questo porta ad un’altra considerazione. La diretta televisiva di quattro ore il primo giorno e di tre e mezza il secondo giorno. Impensabile. Nessuno sport si permette una cosa del genere. Nemmeno il calcio o la Formula Uno, che pure sono i due sport più apprezzati dal pubblico della tv. Neanche una partita di basket americano che tra time-out, pubblicità e spettacoli vari dura quasi due ore e trenta. Ventidue nazioni per 94 cavalieri!? Ma cos’è un’Olimpiade di un solo sport? Se la Fei riflettesse, dovrebbe certamente mantenere l’apertura a tutte le nazioni di partecipare alla rassegna continentale o mondiale, ma facendo delle selezioni preventive, riducendo il numero delle squadre ammesse alla fase finale a 12 o forse 14.
La televisione non sopporta più tempi così infiniti. Per nessuna cosa al mondo. Tanto le sorprese ci sarebbero comunque: chi si aspettava che la Germania terminasse questi europei senza nemmeno una vittoria nel salto ostacoli? Chi pensava che Simon Delestre, francese, risalisse dal 14 al terzo posto nella finale del salto? O che la Svizzera a squadre passasse dal gruppo B al terzo gradino del podio? Chi pensava di vedere la prima amazzone israeliana nella finale a 25? Insomma bisogna che la Federazione Internazionale riveda il suo programma di appuntamenti, pensando un po’ meno ad incassare soldi e molto più alla qualità ed al benessere di cavalli e cavalieri. Specie dei primi che con questi ritmi durano una o al massimo due stagioni, poi sono cotti. Inevitabilmente.
Ed ora l’Italia. L’unica nota lieta è la prestazione della squadra di reining che ha dominato il Vecchio Continente. Potevamo festeggiare un’altra medaglia, quasi certamente d’oro con Anna Cavallaro, ma una commissione veterinaria molto zelante ha visto che Harley, il fedele compagno di Anna, aveva un’andatura sospetta che fino alla sera prima non esisteva. Una beffa.
Ed eccoci al salto ostacoli. Piergiorgio Bucci si è dimostrato un cavaliere di alto livello, affidabile e senza paturnie di nessun genere in testa. Discorso a parte per Da Rios che essendo alla sua prima stagione di così alto impegno ha dimostrato comunque coraggio e bravura, De Luca e Gaudiano hanno fallito clamorosamente. E con loro la squadra che non è riuscita ad entrare fra le prime dieci d’Europa.
La qualificazione olimpica? Non scherziamo, era una barzelletta anche di cattivo gusto. Serviva un miracolo sportivo abbinato ad una serie di “maledizioni” che dovevano colpire troppe altre squadre perché si realizzasse.
Sia chiaro: la colpa del fallimento è di tutti, da chi dirige il movimento al groom del cavaliere di riserva perché una squadra è tale se tutti lavorano insieme. E vincono e falliscono tutti insieme. Questi europei sono stati la dimostrazione che siamo indietro in tante di quelle cose che fanno una squadra ed un movimento vincente: nei cavalieri – con le dovute eccezioni – nei cavalli, nella preparazione, nell’atteggiamento, nella “cattiveria sportiva” necessaria ad emergere o a dimostrare di volerlo fare. Ora non è il momento di dire tutti a casa si cambia, ma quello di dire: fermi tutti, riflettiamo seriamente e cambiamo quello che dobbiamo cambiare. Solo il necessario e tirando fuori dal cilindro due cose che fino ad oggi non abbiamo avuto : fiducia e coraggio. Fiducia nei cavalieri giovani da far esordire al più presto nei circuiti importanti dove si fa la vera esperienza e la vera selezione. Coraggio di capire cosa fanno bene gli altri e non di copiare ma di adattare al nostro mondo. Senza chiacchiere però, solo con i fatti. Per esempio cominciando da adesso a preparaci la possibilità di qualificarci per l’Olimpiade del 2020 - dirigenti, tecnici, cavalli e cavalieri - senza arrivare agli europei del 2019 raccontando altre barzellette.