Equitazione agonistica: troppi gli incidenti
L’equitazione agonistica è uno sport pericoloso. Lo riportano tutte le classifiche di genere redatte da qualsivoglia organizzazione – seria ovviamente – di qualunque paese e tipo. Addirittura una lista della Federazione Medici Sportivi Italiani del 2007, inseriva l’arte di andare a cavallo tra le discipline più pericolose insieme agli sport con i motori, al ciclismo, al pugilato, agli sport invernali, all’alpinismo.
Ce ne sono di peggiori per quanto riguarda i rischi, come i cosiddetti sport estremi, ma consideriamo qui, solo quelli praticati da una maggior parte di persone. La domanda successiva è : l’attività sportiva di alto livello che l’uomo fa con i cavalli è pericolosa fino alle estreme conseguenze?
Di cosa parliamo?
Mauro Checcoli, ha le idee chiare: ”Certo è pericoloso ad alto livello, se non si ha una preparazione tecnica ed atletica perfetta, il cavallo così come il cavaliere. Un cavallo stanco non ha la reattività per risolvere un problema così come non ce l’ha un cavaliere o amazzone che sia”.
Sia chiara una cosa: incidenti con conseguenze più o meno gravi per umani ed animali ci sono sempre stati e continueranno ad esserci. L’obiezione dei contrari a questo tipo di ragionamento impostato da Cavallo 2000 con questo primo articolo sull’argomento è : “C’è gente che si è fatta molto male cadendo da ferma, o anche solo saltando un ostacolo da 70 cm. Per non parlare delle corse, dell’ippica, dei pali o delle ricostruzioni storiche”.
Verissimo e guai a negare il caso, il destino, l’imponderabilità della vita. Che nella sua lista annovera tante “disgrazie”: uscendo di casa si può essere travolti da una macchina; il compagno di una vita che fa una mattanza familiare e poi si uccide. Ma l’ippica è un altro sport, i pali e le ricostruzioni storiche sono un'altra cosa ancora.
Perché negli ultimi cinque anni, anzi dal novembre del 2011 le statistiche riportano una frequenza ed una cifra totale di morti tra animali e amazzoni e cavalieri piuttosto alta nell’equitazione sportiva. Troppo alta. 18 incidenti, con 12 cavalli morti e 6 tra amazzoni e cavalieri. Addirittura 12 dal 2014. E stiamo solo nel campo delle gare internazionali, del professionismo. Cioè in un mondo nel quale l’attenzione, la concentrazione, la preparazione, i controlli su tutti e tutto dovrebbero essere al cento per cento. Quindi anche qui giusto chiamare in causa il destino ma un bel po’ meno. Perché il professionismo non può essere invocato solo quando fa comodo e poi essere declassato come sfortuna quando accadono certe cose. E certe cose nel professionismo sono inaccettabili.
I fatti
Il punto di partenza, quel novembre 2011, è la morte, a Fiera Cavalli a Verona, di Hickstead il fantastico baio di 15 anni del canadese Eric Lamaze, campione olimpico nel 2008,. Al termine di un percorso di Salto ostacoli, proprio dopo la linea di fine gara, il cavallo si è accasciato a terra e non si è più rialzato. Rottura dell’aorta ha dichiarato il referto autoptico. Una morte scioccante avvenuta sotto gli occhi di mezzo mondo tra quello che era nella città veronese, quello che era collegato in televisione e quello che lo ha visto su Internet. Rottura dell’aorta. Una spiegazione che tornerà ben 5 volte nei 12 casi di morte di cavalli di questi anni che abbiamo preso in considerazione.
Solo un mese dopo in Germania, a Vihelmsborgen, durante un concorso di Salto ostacoli natalizio, Cypriano, un cavallo di 8 anni, ha subito la stessa sorte, questa volta poco prima di finire il suo percorso. Rottura dell’aorta.
Luglio del 2012, in Italia a San Giovanni Marignano vicino Rimini, una cavalla, Arielle Z, impegnata in un concorso internazionale di Salto ostacoli, si accascia al suolo e muore durante il warm up.
Sempre a luglio a Dorchester in Inghilterra, la giovanissima Ella Pallister viene colpita da una testata del suo Cocoon dopo il rifiuto di quest’ultimo di saltare un ostacolo. La ragazza è morta in ospedale due giorni dopo in seguito ai tanti traumi subiti, anche perché è rimasta agganciata alle staffe ed è stata trascinata per qualche metro sulla pista dal cavallo.
E siamo nel 2013, a maggio, in Germania a Wiesbaden. Al termine di un percorso di cross country durante una gara di Completo, un castrone di 17 anni, King Artus, campione olimpico per la Germania nel 2012, crolla a terra. Rottura dell’aorta, morte immediata.
Una sindrome colica invece nel settembre del 2013 ha stroncato Djando De Vere, un anglo arabo che aveva terminato al 3° posto ed in “best condition” la gara di 90 km dell’Endurance Lifestyle Sardegna di Arborea.
E siamo all’Annus Horribilis, il 2014. Una strage. Che si concentra in tre mesi. A giugno, il 14 per l’esattezza durante il CIC4* di Luhmuhlen succede di tutto. Benjamin Winter stella nascente del Completo tedesco muore in seguito ad una caduta dal suo cavallo Ispo dopo un inciampo alla barriera 20 del cross country. La stessa barriera alla quale fa errore l’amazzone inglese Georgie Spence che nella caduta riporta diverse gravi fratture.
E mentre sta per affrontare l’ostacolo numero 8, Liberal, un castrone di 15 anni sotto la sella dell’inglese Tom Crisp, cade a terra e muore. Rottura dell’aorta.
Nello stesso giorno, il 14 giugno, il cavaliere canadese Jordan McDonald, viene sbalzato a terra dopo che con Only Me hanno fatto un errore durante la gara di cross country del concorso di Completo al Nunney International Horse Trials in Inghilterra. Le protezioni al corpo dell’uomo non erano sicure ha stabilito l’inchiesta.
E poi i WEG in Normandia. Prima Dorado, cavallo della colombiana Claudia Romero Chacon, che a soli 400 metri dal termine del primo giro della gara di Endurance ha preso in pieno un albero con la testa nell’infilare una strettoia del percorso.
Qualche giorno più tardi, Harry Meade componente della squadra inglese di Completo, si vede stramazzare al suolo Wild Lone, 13 anni, collassato poco dopo aver terminato il cross country.
Ed ancora la morte di Kregou Brecourt al concorso internazionale di Salto ostacoli di San Giovanni Marignano, anche lui a terra dopo aver finito la sua fatica, ad agosto del 2014.
A dicembre un’altra morte in diretta sconvolge il mondo del Salto: è quella di Camille Z, montata da Athina Onassis. Lanciata per saltare uno dei primi ostacoli, la bellissima e fortissima cavalla cerca in tutti i modi di portare al di là delle barriere sé stessa e la sua amazzone ma non c’è verso e ricade male dopo aver travolto l’ostacolo. L’urlo di disperazione della Onassis appena si accorge delle condizioni della sua compagna fa subito capire che per Camille non c’è più nulla da fare.
Il 2015 è segnato dalla morte di Sabrina Manganaro, amazzone italiana che muore in seguito ad una caduta da Fante di Mezzograno dopo un ostacolo nel cross country di una gara di Completo: il cavallo cade, disarciona l’amazzone e la schiaccia. Una fatalità rarissima nel mondo equestre perché i cavalli cercano sempre di passare sopra al cavaliere caduto.
Alla fine dell’anno in Svezia, muore Filur uno dei quattro cavalli di una carrozza di Attacchi, anche lui al termine di un percorso, una gimkana. Rottura dell’aorta.
Siamo al 2016 che si apre, a gennaio con l’abbattimento di Antello Z, cavallo dell’irlandese Cameron Hanley, dopo un indicente durante un concorso a 4 stelle di Salto ostacoli a Liverpool.
A marzo, la morte di Olivia Iglis e Coriolanus, in Australia. Percorso di cross country di una gara di Completo, il binomio commette errore ad un ostacolo fisso di 1,10m e rovina a terra: la Inglis viene travolta dal cavallo che si procura a sua volta una frattura scomposta del collo.
A maggio nel New Jersey durante un concorso di Salto ostacoli, l’amazzone inglese Philippa Humpreys cade dopo un salto e muore in seguito alle conseguenze riportate. Illeso Rich ‘n’ Famous il cavallo.
Le riflessioni
Incidenti diversi, discipline diverse, terreni e cavalieri/amazzoni diverse, scenari e destini diversi, anche se il cross country del completo ha una parte troppo dominante in queste storie. Ma alcuni elementi sono comuni.
La storia della rottura dell’aorta per esempio. Certo tutti i referti veterinari asseriscono che è un fattore assolutamente imprevedibile. Però su 12 incidenti, ben cinque sono stati causati da questa situazione. La domanda dell’inesperto: possibile che niente possa aiutare a capire?
La questione degli incidenti in gara. Qui certamente la fatalità gioca un ruolo assolutamente imponderabile. Eppure da più parti si sollevano dubbi molto forti sullo stress ai quali atleti animali ed umani sarebbero sottoposti da qualche anno a questa parte in ragione di maggiori investimenti economici e guadagni. E lo stress si sa è un agente potentissimo come causa di problemi, incidenti e quant’altro di negativo.
Può bastare quel che dice Giuseppe Dalla Chiesa? : "La prima cosa che dico sempre è che in questa disciplina - il completo, ndr - ci si può occupare di gestione del rischio, non di sicurezza. La sicurezza è un concetto diverso, collegabile a persone che lavorano sui ponteggi per guadagnarsi da vivere; il completo è uno sport, che si sceglie consapevoli dell'innato rischio che comporta anche solo stare vicino a 500 kg. di cavallo vivo. Un rischio che va gestito ma non si riesce mai a portare a zero, nonostante tutti i nostri sforzi gli incidenti continuano ad accadere".
Ancora Mauro Checcoli:” I problemi veri nel completo secondo me sono iniziati nel momento in cui sono cambiate certe regole. E precisamente quando sono state abolite le prove di marcia e velocità. Da quel momento le due prove più importanti ai fini della classifica finale sono diventate la prima, il dressage e l’ultima, il salto ostacoli. Con il cross ridotto a pochi chilometri. Questo ha portato ad una importante riduzione della preparazione atletica dei cavalli e dei cavalieri che in troppi si sono sentiti in grado di affrontare questa disciplina. Perché se dressage e salto ostacoli sono soprattutto, ma non solo, prove di obbedienza, il cross è anche una prova dove servono capacità di improvvisazione, di “sopravvivenza” oserei dire e di resistenza alla fatica. Poi ci sono tre allenatori diversi per le tre discipline che non sempre dicono le stesse cose.
Nel salto ostacoli più o meno vale lo stesso principio. Se i cavalli non sono perfetti per loro natura, poveri loro. Fanno una vita d’inferno, sempre nei van, in aereo, in campo gara da una parte all’altra del mondo. Domanda: quando si allenano? Lo sforzo è eccessivo ed ogni tanto il cuore di questi animali non regge. Il momento non è certo prevedibile, ma la causa secondo me sì”.
Chissà se quando parla di preparazione atletica e tecnica, Checcoli pensa anche solo per un attimo a Marengo, il famoso cavallo bianco di Napoleone. L’arabo preferito dall’imperatore francese tra i 130 cavalli che aveva a disposizione per uso personale. Fu ferito otto volte il piccolo stallone importato dall’Egitto, per esempio nelle battaglie di Austerlitz, Jena, Wagram e Waterloo, e fu uno dei pochi a tornare indietro dalla catastrofica campagna di Russia. Fu catturato dagli inglesi dopo Waterloo e portato sull’isola dove morì a 38 anni. Fortunato? Preparato? Forse tutte e due. Di certo un cavallo pronto per affrontare qualunque cosa.
E se, come diceva il Maestro di tutti noi, qualche volta lasciassimo fare al nostro compagno di lavoro, vita, divertimento, sport?
“Ben più antica delle società sorte tra gli uomini per la protezione degli animali,
esiste tra i cavalli una Società internazionale per la difesa dei cavalieri.
Tutti i cavalli del mondo vi sono iscritti. Essa vanta al suo attivo più salvataggi umani
Di quanti se ne possa attribuire la nostra tecnica dell’equitazione. Poiché tutti i cavalieri del mondo vi sono automaticamente assicurati, ciascuno dovrebbe nel pericolo affidarsi al cavallo
e non impedirgli di compiere i suoi obblighi sociali”.
(Federico Caprilli)