Paolo Orsi Mangelli e la creazione dell'impero nero-granata
Milano. Ritorna in patria dopo 7 anni il Gran Premio Orsi Mangelli, la corsa di élite a livello internazionale riservata ai 3 anni indigeni e non.
E’ uno di quei gran premi che ha origine da una storia affascinante intrecciata con la creazione e l’evoluzione del trotto italiano. Nato come Premio Allevamento, dal 1978 ha assunto la denominazione attuale di Gran Premio Paolo e Orsino Mangelli, rispettivamente padre e figlio, creatori dell’intramontabile scuderia nero-granata Orsi Mangelli.
Data l'affascinante storia, che contorna il nome di questi due mistici personaggi,  non potevamo che andare ad analizzare l’incredibile storia della famiglia Orsi Mangelli, primo su tutti il capostipite: il conte Paolo.
Il nome di Paolo Orsi Mangelli è strettamente legato all’allevamento dei cavalli e ancora oggi viene definito il “padre del trotto italiano’’. Nato a Forlì nel 1880, il Conte, era il discendente da una famiglia nobile di forte influenza politica. L'incontro tra il trotto e il conte avvenne nei primi anni del ‘900, quando pian piano il trotto, riusciva ad appassionare più persone e a svolgere le prime corse con gli ‘’strapazzoni’’ ( i cavalli in dialetto romagnolo ndr.) durante le feste paesane. 
Il richiamo del sangue romagnolo e il grande temperamento sportivo del conte lo indussero a toccare con mano questo sport così tanto ambito in quel periodo pionieristico. Si buttò nella mischia, disputando, nelle piste romagnole di Faenza, Ravenna e Forlì, numerose corse come guidatore dilettante (gentleman driver odierno). Affascinato da questo mondo nuovo, acquistò il 3 anni Babau, con il quale riuscì a vincere, come proprietario, il Gran Premio Allevamento. 
Da quei giorni ‘’ mondani’’ passeranno 20 anni prima che il conte tornasse nel mondo ippico. Lontano dall’ippica, si dimostrò un vero imprenditore illuminato, capace di ribaltare e rinnovare situazioni consolidate nel tempo e di affrontare con spirito pionieristico nuove posizioni con grande consapevolezza dei risultati. Era curiosissimo di ogni novità che poteva in qualche modo coinvolgerlo, anche avviare nuove attività che creavano numerosi posti di lavoro.  Avviò una grossa fabbrica (la SAOM)  per la filatura della seta e delle fibre artificiali che a Forlì aveva lo stesso peso della FIAT a Torino. Dopo pochi anni, a Faenza, costruì una fabbrica per la produzione di scarpe da donna. ‘’Era fatto così, voleva essere il primo ovunque.’’ Con questa motivazione, si inoltrò nell’area ippica, non appena decise di intraprendere il cammino. Alla soglia dei quarant’anni, decise di gettarsi nella grande avventura.
Disponendo dei mezzi finanziari, non partì come hanno fatto tanti e continuano a fare, con qualche cavalletto e una o due fattrici. Il conte partì con quella larghezza di intenti che lo aveva distinto già nel campo industriale, applicando leggi ferree e scelte il più possibile scrupolose e dirette nel suo intento. Abituato a comandare e ad essere obbedito, non ammetteva alcuna minima trasgressione. Per creare quello che poi sarà il suo impero seguì un’idea ben precisa: privilegiare le linee di sangue americano, tenendo conto che allora i trottatori di oltre oceano erano i più veloci al mondo, per creare una razza nuova, capace di competere anche sul campo internazionale.
Per prima cosa cerco la sede del suo regno trovandola a pochi chilometri da Bologna, a San Giovanni in Persiceto, in località ‘’Le Budrie’’ dove trasferì le prime fattrici e i primi acquisti di trottatori per la giubba nero-granata. Con la 2 anni Marion Belle, nel 1930, riportò in pista la Scuderia Orsi-Mangelli. L’anno dopo, il conte cominciò a inaugurare il libro d’oro della scuderia con la vittoria nel Derby di Etrusco. La grande scommessa del conte arriverà a vincere ben 10 derby italiani del trotto, arrivando a fare la tripletta nel 1960 con Gualdo, Guglia e Grifone. Un primato che ancora oggi resta imbattuto.
Tutto quello che ha creato prende il merito da una assidua ricerca che mai in tutta la vita del conte si interruppe.
Accompagnato dal figlio Orsino, il braccio destro del nostro conte, volle recarsi alla fonte della produzione di quei cavalli americani che tanto lo incantavano. Fu così che in america conobbe Lawrence Sheppard, che in Pennsylvania gestiva la Hanover Shoe Farm (tutti i cavalli siglati Hanover) che in quel momento era una vera e propria fabbrica di campioni. 
Il conte conobbe gente esperta e capace che, come lui, traduceva in realtà anche i progetti più difficili e ambiziosi. Rimase colpito dalle tecniche di allevamento dei puledri che crescevano come tori nei vasti campi rigogliosi di ‘’bluegrass’’(erba medica) del Kentucky. 
Tornò in Italia con Topsy Hanover e con un’idea ancora più chiara: spazio, prati e fattrici di qualità. Quasi stufo del centro de Le Budrie, il destino venne incontro al Tycoon: venne a morte il colonnello Alberto Chantre che allevava purosangue da corsa in uno stupendo centro di allevamento ad Anzola dell’Emilia. Proprio lì un giovane Pietro Gubellini senior aveva cominciato a lavorare e giungerà poi alla corte di Federico Tesio, ma questa è un’altra storia. 
Fatto sta che il conte non perse l’occasione e acquistò la meravigliosa tenuta, trasferendoci le fattrici e mantenendo la stazione di monta presso le Budrie. La stazione di monta si chiamava così perché il conte mise i suoi stalloni a disposizione di tutti gli italiani. A quel punto, definiti i mezzi, iniziò a lavorare sulla scelta delle fattrici, tenendo conto delle madri ascendenti e della relativa produzione. Dalle famiglie più accreditate, comprava il meglio. 
Nel suo allevamento, il conte ha sempre dato importanza all’alimentazione avvalendosi di due elementi tradizionali: avena e fieno. Non disponendo dei ricchi prati del Kentucky e della alta normandia in Francia, fieno ed avena dovevano essere di qualità e in abbondanza. 
Queste erano le basi del suo buon allevamento che lo porterà a raggiungere i vertici del trotto in ben poco tempo. Avvalendosi di personaggi capaci e di grande mestiere, oltre che ad ottimi guidatori, in pochi anni (addirittura 4) cominciò a scrivere il proprio diario di viaggio.
Con l’allevamento, iniziò da subito a siglare i prodotti OM e a portare l’innovativa dell’ordine alfabetico nel suo allevamento, tecnica che diventerà consuetudine in tutto il trotto italiano. 
Nel 1942 grazie alla sua forte influenza politica e a una storica collaborazione con Federico Tesio, promossero la “Legge Mangelli”, riservando all’UNIRE la facoltà di esercitare totalizzatori e scommesse al libro per le corse al trotto
Il figlio del conte, Orsino, è inscindibile dal padre per tutta la loro storia. Catapultato nel mondo ippico in giovane età, si occupò a pieno titolo dell'allevamento e della scuderia. 
La passione di Orsino, a differenza del padre, si manifestò soprattutto partecipando personalmente alle corse ippiche, arrivando persino a terminare secondo nel derby con Filibustiere.
A un certo punto della sua vita, volle disporre di un proprio impianto personale di allevamento. Trovò il suo piccolo centro ad Arena Metato nelle campagne della bella Pisa in Toscana. Denominato da lui stesso ‘’Allevamento Orsetta” diede vita alla produzione di cavalli da corsa targati OR.
Nel 1977, sia il conte Paolo sia il figlio Orsino morirono. L'impero nero-granata aveva perso i suoi creatori. A salvare la “baracca”, entrarono in gioco il Marchese Antonio dal Pozzo e Barbara Orsi Mangelli, la lady “D” della scuderia. Con loro la Orsi Mangelli continuò a vincere in tutta Europa dando vita a nuovi campioni e importando dall’America i più grandi stalloni e fattrici di alto rango. Tra gli ultimi acquisti Ambro Gual, Waikiki Beach e la giumenta Jef’s Spice.
Se gli stalloni americani avevano costruito le fondamenta della scuderia avevano creato anche grandi campioni, degni a loro volta di assumere le glorie stalloniere: Filibustiere, Inverno,Gendarme, Delfo, Indro Park, Lancaster Om e per ultimo Uronometro. Grandi crack sulle piste e ottimi stalloni nel parco dei razzatori.
L’affermazione che Paolo Orsi Mangelli sia un padre per il trotto italiano è confermata: il patrimonio che oggi ci ritroviamo, dato da una grande evoluzione e un incredibile incrocio di razze, è in grossa parte stato elaborato dalla Scuderia Orsi Mangelli. Non c'è un cavallo italiano che non abbia un “mangelliano” nella sua genealogia. 
200 gran premi vinti tra cui 4 Gran Prix D’Amerique e 7 Campionati Europei chiudono il libro d’oro della favola intramontabile della Scuderia Orsi Mangelli.
























.jpg)




