Lode al gatto, silenzioso compagno di scuderia
Quando con Maria Lucia Galli abbiamo pensato al nome per questa rubrica senz’altro, e senza alcun dubbio, avevamo in mente una precisa “specie” di compagni di scuderia: i cani.
Fedele alla linea, dunque, ho sempre messo al centro dei miei articoli, interviste e approfondimenti il “migliore amico dell’uomo”, immaginandolo al suo fianco anche quando lo trascura per dedicare maggiore attenzione all’altro animale prediletto: l’ingombrante quadrupede, che lascia spesso poco spazio al povero compagno che si vede costretto ad attendere momenti migliori, miseramente relegato al secondo posto.
In ogni scuderia che si rispetti si potranno infatti trovare cani con l’aria più o meno afflitta, che aspettano con santa pazienza che il proprio umano abbia finito di armeggiare dietro a quei bestioni di cui non comprendono la funzione, e poco, a dire il vero, anche l’esistenza. Questo nel caso dei soggetti più disciplinati e saggi, si intenda. Gli esagitati e i facinorosi vengono invece lasciati all’interno delle auto, o peggio per loro, addirittura abbandonati a casa, magari soltanto perché, se portati in scuderia, non si adeguano esattamene al ruolo di “comparsa”, ma cercano il palcoscenico a tutti i costi, per esempio mettendosi a rincorrere i cavalli nei paddock o cimentandosi in simili brillanti iniziative che, è evidente, finiscono per distrarre il proprietario che si vede così costretto a riportare la propria attenzione sul fedele amico scodinzolante, distogliendola – vittoria! – dall’insensato quadrupede del quale, ammettiamolo pure, la maggior parte dei cani è, sfacciatamente e senza tanto vergognarsene, gelosa.
Ricordo perfettamente il nostro magnifico e austero weimaraner “abbassarsi” a rubare il fioccato al cavallo, pur di fargli un dispetto dando un segno, fastidioso per il maremmano che gli rispondeva per le rime, della sua presenza che certo non poteva venire dopo quella di un cavallo.
Alcuni si rassegnano, dicevo, approfittando magari per farsi una bella scorpacciata di sterco di equino, quale migliore occasione, o anche di quei rimasugli di unghia che lasciano in giro i maniscalchi: i cani ne vanno matti! (meglio sarebbe evitare di farglieli mangiare ovviamente, non fanno benissimo anche se vale pur sempre il detto “quel che non ammazza ingrassa”).
Un discorso a sé andrebbe fatto per i cani che in scuderia ci vivono h24 e ne sono, a quel punto, i padroni incontrastati: quando arrivi ti vengono incontro pretendendo, non senza ragioni, che tu chieda quanto meno educatamente il permesso, il loro ovviamente, di accedere al luogo che proteggono e supervisionano. Dopo questa proverbiale sceneggiata, di solito, se ne tornano trotterellando ai loro affari oppure, se non hanno di meglio da fare, ti stanno dintorno felici di ricevere qualche carezza, quasi a scusarsi dell’accoglienza un po’ severa riservata poc’anzi ma si sa, quando si lavora occorre tenere un certo ruolo.
Ma non voglio ancora e di nuovo prolungarmi sulle diverse tipologie di cani che frequentano le scuderie, potrei scriverne per ore: magari un’altra volta, altrimenti vengo meno alla parola data poco sopra.
Ebbene dicevo, assorbita dalla loro ingombrante presenza, dei cani intendo, mi sono resa conto, è un po’ tardi lo capisco, di essermi macchiata di una grave mancanza, e voglio con questo breve pezzo se non rimediare (impresa ardua!) almeno mettere una prima, seppur inadeguata, pezza.
Non ho parlato infatti, neppure fatto cenno ahimè, di un altro piccolo, ma maestoso, compagno di scuderia che certo non si abbasserebbe mai a far scenate di gelosia, a rincorrere cavalli, a rubare pezzi di unghia o mangime, né tantomeno a sbavare scodinzolando intorno al proprio umano per elemosinarne una carezza, strappata al rivale di attenzioni con criniera e zoccoli.
Parlo di sua maestà il gatto.
Se si osserva con attenzione, infatti, ogni scuderia che si rispetti è frequentata, con discrezione, educazione, in punta di zampa, da un numero più o meno elevato e spesso imprecisato di piccoli felini.
Con quanta grazia, se si aguzza lo sguardo, si potrà scorgere un gatto acciambellato su un mucchio di fieno biondo, a godersi i primi spicchi di sole, oppure su una vecchia coperta in selleria al riparo nelle giornate umide e grigie. Hanno sempre il pelo folto, e lucido, i gatti di scuderia, e sono ben pasciuti, perché tra i frequentatori del centro ippico c’è sempre chi li foraggia con generosità. Generalmente si tratta di esemplari femmina di essere umano, particolarmente sensibili alle fusa degli astuti felini che imparano presto a riconoscere l’arrivo del soggetto portatore di cibo, a cui si fanno incontro miagolando a coda ritta, unica eccezione a un comportamento di massima dignità e di un certo distacco verso le attività umane. Per il resto, ai gatti di cosa fanno amazzoni e cavalieri non potrebbe importare di meno. Hanno il loro da fare, ovvero spesso nulla, anche se per essere onesti bisogna dire che non sono inoperosi. È merito loro infatti se le scuderie non pullulano di topi, che non è inusuale veder penzolare dalla bocca di qualche gattone fino a pochi attimi prima sdraiato a sonnecchiare da qualche parte.
Capita anche di vederli immobili, nella loro affascinanti pose statuarie, sopra lo steccato del campo in cui sudano faticano e imprecano i cavalieri, e in quel momento davvero ti chiedi che cosa stiano pensando. Capire cosa passi per la testa di un gatto credo sia un’impresa difficile per un essere umano; possiamo solo supporre, senza andare troppo lontano dal vero, che talvolta gli facciamo pena. O quanto meno che, al pari nostro, non riesca a comprendere la motivazione di certi strani comportamenti. Quel nostro affannarci, per esempio, agitarci, quell’essere sempre di corsa; una cosa è certa: se incroci in uno di questi momenti lo sguardo di un gatto, ti senti immediatamente un imbecille. E, il pensiero successivo è: mi sa che ha ragione lui.
Il fatto è che i gatti hanno sempre ragione: scelgono i posticini più caldi, o più freschi, più assolati in inverno o ventilati d’estate, per le loro lunghissime pennichelle; capiscono molto velocemente chi fornisce loro cibo e gliene sono grati, ma con dignità; cacciano se ne hanno voglia, più per gioco o per noia che per necessità; si divertono a osservare gli umani, esseri che non comprendono e che ritengono fondamentalmente stupidi, ma ai quali concedono, quando sono in vena, l’onore della loro compagnia e qualche fusa, in cambio di carezze e grattini, non troppi mi raccomando.
In altre parole, i gatti, in scuderia come altrove, sono la testimonianza vivente che qualcuno che ha capito davvero come gira il mondo esiste, e di certo non sono gli esseri umani.