Il cavallo di Leonardo, un sogno davvero gigantesco
CHISSÀ SE LEONARDO avrebbe mai immaginato di vedere realizzato in bronzo il suo gigantesco cavallo, una parte del progetto che sognò invano di realizzare per circa tre decenni della sua vita, proprio nella città di Milano, dove, a distanza di 500 anni, l’artista giapponese Nina Akamu ha scolpito una copia del suo cavallo, posta all’entrata dell’Ippodromo di San Siro!
Nella lettera con la quale Leonardo da Firenze presentava nel 1482 i suoi molteplici servigi al duca di Milano, Ludovico il Moro, alla fine si legge: “ancora si potrà dare opera al cavallo di bronzo che sarà gloria immortale e eterno onore della felice memoria del signore vostro padre e della casa sforzesca”. Nei manoscritti lasciatici da Leonardo ritroviamo, infatti, moltissimi studi con i quali tracciò le perfette forme anatomiche, le posizioni ed i movimenti di quel cavallo che, secondo l’Artista, avrebbe costituito il gruppo equestre più sensazionale e maestoso, mai fuso fino ad allora, nelle proporzioni il doppio dei preesistenti monumenti creati da Donatello, “il Gattamelata” a Padova, e da Andrea del Verrocchio, “il Colleoni” a Venezia.
PIÙ VOLTE LEONARDO era ritornato, come era solito, sui suoi progetti scultorei durante la quasi ventennale permanenza alla corte milanese, modificando l’impostazione dinamica del gruppo: dai cavalli più equilibrati, classicamente perfetti a quelli contrassegnati da un movimento naturale quanto irruente, quasi a sfidare le leggi fisiche della statica e le possibilità della tecnica di fusione scultorea. Dai primitivi schizzi in cui il duca Francesco Sforza veniva rappresentato con l’armatura mentre travolge il nemico e con il destriero impennato, si passa a quelli in cui il cavaliere è nudo come un eroe antico ed il cavallo, benché fremente, ha un dinamismo più contenuto. Malgrado le diverse versioni, la forma complessa del monumento presentava però grandi difficoltà di fusione; pertanto nel 1490, abbandonate le troppo ardue idee iniziali, Leonardo appronta un ultimo modello di creta che il 23 dicembre del ’93 è pronto per la fusione.
NEI MANOSCRITTI DEL CODICE ritrovato a Madrid sono annotati con cura tutti i particolari tecnici per la fusione del cavallo, con disegni di straordinaria intelligibilità riguardanti le strutture formali, le ingabbiature, l’uso della terra refrattaria. Il modello viene dunque portato nella fonderia vicina al podere di Porta Vercellina, donatogli dal Moro, non lontano dalla chiesa di S.ta Maria delle Grazie, dove, di lì a poco, il Maestro avrebbe affrescato il capolavoro del “Cenacolo”. Chi vide il modello lo giudicò grandioso, colossale, capace di rivaleggiare con i grandi esemplari del passato, non escluso il gruppo equestre del Marco Aurelio. Luca Pacioli, matematico insigne, maestro ed amico di Leonardo, ricorda nel suo testo “De divina proportione”, l’altezza del cavallo di ben 12 braccia, pari a 7,20 metri, mentre poeti e letterati della corte sforzesca elogiano la perfezione anatomica dell’animale, nonché l’espressione di forza e di potenza sprigionanti dall’intera opera!
Tuttavia il grande cavallo non vedrà mai la luce: pochi mesi più tardi, l’armata francese, chiamata dallo stesso Ludovico il Moro contro Napoli, utilizza tutto il bronzo già predisposto per la fusione, ovvero 60 tonnellate, per farne cannoni da donare ad Ercole d’Este, suocero di Ludovico. Quando nel 1499 i Francesi distrussero il modello di creta, Leonardo amaramente annotava: “il Duca perse lo stato, la roba e la libertà e nessuna cosa si finirà per lui”.
E così fu: benchè nel 1511 l’Artista tornasse ad occuparsi di un nuovo progetto di monumento equestre dedicato al Maresciallo Trivulzio, neppure questo venne realizzato e rimase incompiuto il sogno scultoreo di Leonardo, genio universale, sperimentatore infaticabile, anticipatore del futuro.