Dove vai se il cavallo non lo hai?
Che il cavallo sia un atleta ormai lo dicono tutti. Però addirittura il protagonista, l’attore principale, allora per molti in Italia c’è ancora qualche dubbio. Anche in alto. Altrimenti invece di andare a caccia di numeri roboanti, premiazioni da palcoscenico e conferenze stampa autocelebrative, l’allevamento sarebbe da tempo diventato il Dipartimento più importante della Federazione Italiana Sport Equestri (FISE). Se qualcuno pensa tutt'oggi che a saltare nei concorsi sia il cavaliere, o l’amazzone, e perciò vada scelto più chi sta sopra la sella che chi è sotto per fare squadra a Europei o Mondiali, o cercare di tornare in quella benedetta Prima Divisione che anche per tutto il 2023 l’Italia dovrà rincorrere, è meglio che si trovi un’altra disciplina. Ciò non toglie che ci sia un’ulteriore scelta da fare, nella Penisola che salta in campo ostacoli. Quella dell’asetticità. La quale va bene nelle corsie degli ospedali ma non nella dirigenza sportiva. Non è possibile seguitare a chiudere gli occhi su decine, se non centinaia di istruttori che consigliano ai propri allievi l’acquisto a senso unico di cavalli stranieri, mortificando gli allevatori nazionali e rimpinguando il portafoglio di quelli d’oltralpe. O non chiarire “apertis verbis” (come consigliava un membro di Giunta CONI Anni Settanta) e non tanto nelle segrete stanze, la decisa contrarietà federale alla vendita di soggetti fondamentali ai successi dell’Italia. O non ricordare a tutti i tesserati, soprattutto a quelli che sotto la maglia azzurra indossano una divisa, il dovere di rispondere affermativamente alla chiamata dei tecnici FISE per partecipare a gare che difendano il blasone, l’orgoglio, il ritorno ai vertici dell’equitazione nazionale. Senza fare (così dicono a Roma) i “finti burini” e defilarsi verso manifestazioni che diano qualche euro in più o posizioni - e sponsor - migliori nel ranking internazionale.