C'era una volta Fieracavalli con Ribot e Tornese...
C’ERA UNA VOLTA, OGGI NON PIU’. Un tempo in cui l’universo che ruotava intorno al cavallo aveva idee chiare ed obiettivi certi disponendo di un Agorà dove era possibile dibattere le tematiche di maggiore attualità, dove si confrontavano progetti ed idee per il potenziamento dell’allevamento equino, dove si sondavano le emergenti opportunità del moderno utilizzo di questo animale.
Insomma, uno spazio in cui gli attori di questo universo affinavano i propri contenuti professionali, analizzavano le sempre più concrete opportunità economico-reddituali che si andavano prospettando ed con il continuo scambio di idee ed esperienze dischiudevano a questa attività nuovi orizzonti.
Un Agorà che ha consentito all’antica arte della mascalcia di avere una seconda giovinezza, divenendo il luogo per interessanti competizioni internazionali. Ma anche dove era possibile visionare i prodotti dell’allevamento nazionale ed estero (non fu affatto casuale la partecipazione, agli inizi degli anni ’80, di alcuni dei più bei soggetti del mitico allevamento di arabi del re del Marocco, Hassan II°).
Un proscenio, inoltre, in cui si riservava spazio ai migliori soggetti dell’allevamento sportivo (come non ricordare “testimonial” quali Ribot e Tornese ed il “collaudo” di quel grande campione della genetica nostrana che fu Ursus del Lasco con cui Graziano Mancinelli “calcò” i ring dei maggiori concorsi internazionali).
Volano per il recupero di esemplari in via di estinzione (tra gli altri, il Persano, protagonista di primo piano delle gesta della nostra cavalleria e quel patrimonio di sofisticata genetica del Cavallo Agricolo Italiano da TPR) che ha vissuto sull’attivismo di Enti che, grazie a questa “piazza”, hanno e continuano ad avere una seconda giovinezza.
Ruolo propulsivo, infine, che ha testimoniato l’affermarsi dell’ippoterapia, il recupero delle cosiddette razze da “lavoro”, l’evoluzione dell’allevamento delle razze americane (Appaloosa, Quarter Horses, Paint) e dell’insieme delle attività connesse, l’attivazione di vivaci trattative commerciali e di animate aste.
Tutto (o quasi) ha contribuito a fare di tale Agorà una delle più complete “enciclopedie” ad uso e consumo di un mondo che si accingeva a riscoprire tradizioni, culture ed opportunità che il cavallo offriva ad una società forse troppo annoiata dalla snervante “cavalcata” degli anni della ricostruzione post bellica.
Un palcoscenico multimediale in grado di soddisfare – nonostante il pesante onere che ogni famiglia sosteneva per pagarsi l’ingresso – qualsivoglia esigenza professionale e non, consentendo al proprio pubblico di trascorrere una giornata diversa magari conclusa con il gala che, nella sua spontaneità, riusciva a strappare un applauso, a garantire una parentesi di meravigliato stupore. In sostanza, riusciva a divertire.
Oggi di tutto ciò, nonostante la suddivisione merceologica dell’evento sia rimasta immutata, di tanta vitalità e spontaneità non è rimasto nulla o quasi.
Si porta avanti il tentativo di fare di Fieracavalli il luogo delle raffinatezze, del più esclusivo “ensemble” del lusso, di uno spettacolo, come è stato possibile vedere negli ultimi anni, che poco, molto poco, è riuscito ad entusiasmare essendo, per nella sua cadenzazione, un pesante susseguirsi di “quadri” logoranti e di difficile comprensione anche per gli intenditori figuriamoci per il comune visitatore che non ha altra “patente” se non quella di volersi entusiasmare vedendo le evoluzioni di cavalli addestrati.
Per tentare di recuperare (o no!!!) l’attenzione di questa “fascia” di frequentatori si è varato HorseLyric, uno spazio “spettacolo” che ci si augura che funzioni soprattutto per la regia (quella degli ultimi anni) che ha avuto serie difficoltà di dialogo con l’universo degli spettatori.
Il “lirismo” dell’impossibile, comunque, lo si toccherà di sicuro con lo spazio Arte Equestre. Già visitando il sito di manifestazione e impattando con questo invitante richiamo qualsiasi comune mortale è portato a pensare di poter vedere numeri di alta scuola spagnola che tanto fascino hanno per tutti. Oppure le eleganti evoluzioni dei cavalli della scuola di Saumur.
Nulla di tutto questo. Andando avanti nella lettura si scopre che il massimo della “libidine” sarà quello di poter vedere il lavoro di pittori più o meno noti, più o meno comprensibili, più o meno scontati.
In buona sostanza si è “contrabbanda” l’evento definibile, più onestamente, “cavallo nell’arte” con “arte equestre” che è espressione diversa e di ben altro livello.
Questo per sottolineare come la manifestazione, pur nell’impegnato tentativo di modernizzarla, stia correndo il rischio di perdere l’appeal della genuinità che è stata la base del successo per più di trent’anni, minando quella centralità che, come stanno riportando i giornali di questi giorni e come suggerisce il perdurare del commissariamento dell’Unire, in grado di unificare le diverse posizioni.

Manifesti storici di fieracavalli (per gentile concessione del Museo del Trotto)