Un cavallo grigio mi ha fatto vedere il mondo a colori
Il cavallo era un animale sconosciuto nella mia famiglia. Nessuno me lo aveva fatto incontrare eppure, fin da piccola, ne ero sempre stata inspiegabilmente attratta.
Guardavo i film western e giocavo con indiani e cowboys, sellando e dissellando i destrieri, sognando di cavalcare con loro. Percepivo un richiamo che non mi ha mai abbandonata nel corso degli anni, forse perché sentivo che senza di loro sarei stata “incompleta”. Il cavallo si è insinuato in una minuscola fessura del mio animo rimanendo silente, in attesa di uno scalpello che la allargasse e tirasse fuori dal blocco di marmo l’armoniosa statua che conteneva.
L’occasione è arrivata dopo i vent’anni, durante una vacanza nella Maremma Toscana. Da allora cominciai a montare con regolarità, ma dovetti aspettare altri vent’anni per compiere il grande passo con un cavallo a mezza fida.
Sorrido quando penso che non ho mai scelto i miei cavalli ma sono sempre stata scelta da loro, trovandoli abbandonati e rifiutati.
La prima è stata Tequila, una femmina saura lasciata per un anno in paddock dai proprietari perché poco gestibile. Mi incuriosì il fatto che non avesse ferri, spingendomi a scoprire e studiare le motivazioni del “barefoot”. Diventò una compagna affidabile quando le tolsi la pesante imboccatura e la usai in bitless, permettendomi di realizzare le galoppate nelle praterie sognate da bambina. Con lei trascorsi un anno indimenticabile.
Ma il sogno venne bruscamente interrotto. Non avevo avuto il coraggio di acquistarla subito e quando mi decisi i proprietari, vedendola gestibile e affidabile, dapprima aumentarono il prezzo e poi la negarono.
Il destino aveva in serbo altro per me, ma sul momento il dolore fu immenso e mi frantumò l’anima.
Andai alla disperata ricerca di una femmina saura ma, naturalmente, non la trovai.
Trovai, invece, un castrone grigio, colore che non mi era mai piaciuto. Inoltre era anziano, malato, abbandonato anche lui in un paddock ma ridotto pelle e ossa. La sua destinazione non poteva che essere il macello.
Non avendo mai avuto un cavallo tutto mio, desideravo un destriero vero, non un ronzino ossuto dallo sguardo perso, anche se il suo passato da atleta si intravedeva in alcune "difese" tipiche di quei cavalli che vengono maltrattati per dominarne il forte carattere.
E poi, ci fu quello "sguardo" che penetrò dentro di me. Un chiaro messaggio.
La mia parte razionale diceva di non darvi seguito mentre quella emotiva taceva, rimandando continuamente l'immagine della sua muta richiesta di aiuto.
Dopo cinque giorni diedi un calcio alla parte "logica" del mio cervello e lo comprai. Sì, comprai quel qualcosa, deriso da molti e per il quale nessuno avrebbe dato un soldo.
Fu difficile sempre, dall'inizio alla fine, ma superai lo scetticismo dei molti. Affrontando spese, sacrifici, rinunce, impiegai tutto il tempo possibile per curare le diverse patologie di cui era affetto e, alla fine, riuscii a farlo ritornare un cavallo con la “C” maiuscola. Una soddisfazione che un esemplare giovane e sano non mi avrebbe dato con la stessa intensità.
Quello "sguardo", prima spento e rassegnato, era adesso animato da una luce nuova, diversa, che ricompensava tutte le mie fatiche, riscaldandomi ogni volta che ci salutavamo.
Un'emozione ben difficile da descrivere.
Ho trascorso sette anni e mezzo con Sorbetto, questo il nome che gli diedi, e sono stati anni di incredibili sensazioni che hanno trasformato la mia esistenza. A volte mi chiedo come sarebbe stata senza di lui. Di sicuro più grigia e meno colorata.
La prima lezione che mi insegnò fu che ogni situazione presenta molteplici sfaccettature ma che, accanto ad aspetti negativi, ve ne sono sempre altri positivi che compensano e superano l'apparente momentanea sfortuna.
Poi, piano piano, quasi senza accorgermene, diventò il mio maestro di vita, anno dopo anno, facendomi vivere nuove emozioni con un'acquisita diversa percezione. Come Santiago, il protagonista de "L'alchimista" di Paulo Coehlo che, posto dal destino dinanzi alle difficoltà, sceglie di guardare il mondo come un avventuriero in cerca di tesori e non come una povera vittima della sfortuna.
Stare con lui è stata una meravigliosa avventura a caccia di incredibili tesori che trovavamo immersi nella natura che ci circondava, nei colori, nei profumi e nei semplici incontri assaporati nelle nostre piccole passeggiate.
Ma l'avventura è andata oltre: lui è stato capace di tirare fuori quei tesori nascosti dentro di me, facendomi scoprire la magia della scrittura e consentendomi di entrare nel mondo equestre da una porta diversa da quella dell'agonismo.
Ho sempre amato la natura ma solo con lui ho potuto percepirla in maniera diversa, quasi attraverso i suoi occhi o, meglio, la sua anima. Una prospettiva che mi ha rivelato come la felicità possa rinvenirsi nelle piccole cose, incoraggiando a scostare il velo del superfluo dalla vita per ricercare e coglierne la gratificante essenza.
Il cavallo non è un semplice animale: è magia. Solo toccandolo e sporcandosi gli abiti di crini è in grado di attivare una misteriosa energia che penetra in profondità, creando sensazioni di sorprendente benessere.
La sua mole induce ad abbassare le difese per trovare una via di comunicazione non verbale che porta al rispetto reciproco: lui non giudica, consentendo al compagno umano di abbandonare la maschera con cui si protegge nella quotidianità per instaurare un rapporto autentico che nasce solo dall'affetto sincero. Con un cavallo non si può fingere ma si deve mostrare quel che si è, focalizzando l'attenzione sul presente e sulle emozioni che si imparano ad avvertire in maniera consapevole.
In sella a un cavallo ci si sente in un'altra dimensione, compenetrati a profumi, suoni e a una vitalità primordiale con cui si ha l'impressione di librarsi verso l'infinito percependosi, anche solo per un istante, più vicini al cielo.
Sorbetto ha liberato la mia parte irrazionale regalandomi la magia della scrittura, una chiave magica con cui sono entrata in mondi nuovi, permettendomi di incontrare persone con cui tessere amicizie.
Quando il mio angelo dal mantello bianco non fu più in grado di essere montato, mi ha insegnato come il rapporto con un cavallo non significhi solo stargli in groppa ma possa essere straordinario anche rimanendo al suo fianco. Ci si concentra sui sentimenti e i silenzi si riempiono di armonie sorprendenti, comprendendo che il cavallo non si possiede ma può essere un amico la cui presenza è un dono che sprona ad essere e non ad avere.
Troppi considerano il cavallo anziano come un peso di cui liberarsi, forse perché non in grado di coltivare un autentico rapporto affettivo. Quando Sorbetto se ne è andato è stato difficile superarne la mancanza, confortata solo dalla consapevolezza che quanto mi ha insegnato rimarrà sempre con me.
Ho fatto fatica ad avvicinarmi ad un altro cavallo, ma sulla mia strada ho trovato una puledra che non interessava a nessuno e che somiglia molto alla cavalla saura che cercavo disperatamente quando mi imbattei in Sorbetto.
Per mesi ho eretto una barriera nell’approccio con Buona, questo il suo nome, perché mi pareva di fare un torto all’unicità di Sorbetto ma, alla fine, lei è stata paziente e mi ha aspettato.
Il cavallo ha trasformato la mia vita e amo immaginarlo come una presenza benigna che invita ad apprezzare i colori del mondo.