Christian Da Pos, cavalli in libertà e riflessioni di fine anno
Fine anno è tempo di auguri e bilanci e anche chi scrive non può esimersi dal guardarsi indietro e pensare alle proprie esperienze, ai volti, alle storie che gli sono state raccontate e che a sua volta ha dovuto riconsegnare a chi legge. Quando si ha la fortuna di scrivere di cavalli non ci si annoia mai perchè ogni equestre ha una storia, anche familiare, fatta di impegno, ambizione, una volontà ferrea che lo spinge ad un i lavoro quotidiano, sportivo o professionale, che non conosce festività o giustificazioni. Non sempre soddisfacente, spesso faticoso, mai facile. Così come scriverne.
A volte anche raccontare di cavalli è un’ardua impresa perché spesso chi vive e lavora con gli animali è di poche parole, indaffarato, i suoi ritmi non si adeguano alla lentezza di chi tiene in mano non le briglie ma una penna; le questioni politiche e sociali legate al mondo equestre sono così varie e complesse che spesso la pagina bianca è un vero campo minato; le conoscenze richieste così innumerevoli che vi è sempre il rischio di essere banali o superficiali. Però, seppur con poche parole, gli uomini e le donne di cavalli sono sempre pronti a raccontarsi o raccontare i propri compagni animali e se guardo a quest’anno in molti sono stati capaci di farmi comprendere il loro impegno tranne che per un incontro che ho avuto, e paradossalmente quello più vicino a me in termini geografici. Eppure, di questo incontro che ho avuto a maggio in Versilia, non sono stata in grado di scriverne e questo non gioca a favore del mio bilancio di fine anno.
Quando nel programma di una manifestazione di cavalli ho letto che Christian Da Pos si sarebbe esibito in uno spettacolo equestre di “stalloni in libertà” ho pensato che stavolta mi sarebbe piaciuto fare una chiacchierata con lui. Spesso mi sono domandata quali margini di libertà possano avere dei cavalli in una gara morfologica e il carattere quasi circense (mi si passi il termine) di certe esibizioni non mi entusiasma molto
Certe manifestazioni lasciano poco spazio alla vera natura di questa razza: le caratteristiche morfologiche come il muso camuso ornamento di una piccola testa elegante, la coda a bandiera e gli appiombi perfetti sono classificate in punteggi, così come il movimento, il modo in cui con zoccoli lucidi pizzicano l’erba verdissima del ring (il campo in cui si svolge la gara) non evocano il deserto e la vita coi beduini ma qualcosa di artefatto. Le peculiarità morfologiche sono messe in risalto da kajal e balsami su criniere lisce e nasi unti, rasature definite a puntino.
In questo contesto avevo già visto uno spettacolo di Christian, eppure stavolta ricordo di essere scesa dalle tribune roventi di un sole estivo e di averlo raggiunto ai margini del ring dove si preparava per la sua esibizione. Nel teatro d’erba i suoi stalloni si muovono come un gruppo compatto, perdono l’individualità e mantengono distanze perfette senza i movimenti nevrotici degli altri cavalli in gara e anche lui li cavalca a pelo, senza tanti fronzoli, con le scarpe grosse di chi lavora con loro e usa poco altro che la sua voce. Tutto è diretto dai suoi gesti e gli esercizi modulati sulla fiducia che questi animali ripongono in lui, con cui si lasciano maneggiare e dagli spazi che gli concedono.
Dopo l’esibizione finalmente, riusciamo a parlare anche di lui e domando: “ Per te, cosa è il ring? Perché, al di là della gara, mi sembra che tu gestisca il campo in modo tanto diverso rispetto agli altri partecipanti”
“Perché per me è effettivamente molto diverso è come una camera bianca, oltre lo steccato tutto deve rimanere fuori, ci muoviamo in un gruppo di cui io faccio parte e devo riuscire a gestirli come se la musica, il pubblico, gli altri cavalli non esistessero. Nella manifestazione gli altri arabi vengono esaltati dalle grida, dai suoni, loro invece devono mantenere questo legame di sensi con me e io stesso devo riuscire a rimanere concentrato su di loro, lasciando che il resto rimanga neutro, bianco appunto.”
Quando abbiamo raggiunto i cavalli nei box, questo legame mi è apparso ancora più chiaro: gli stalloni sentono la sua voce e si agitano, nitriscono forte, inscenano per lui un richiamo corale e lo accolgono ancora nel loro spazio con i movimenti nevrili tipici di questa razza.“Sono stalloni – mi racconta Christian – mantengono nel branco le dinamiche di comando e sottomissione.” Mi mostra le cicatrici dei morsi sui loro musi, i segni del loro vivere liberi in gruppo.
Credo che in quel momento io non avessi ancora capito il senso dello spettacolo di Christian, ma non solo, non avevo compreso l’interezza del suo lavoro. Con la musica dello spettacolo ancora nelle orecchie e il block notes in bilico tra le assi di legno del box, tutto mi appariva pieno di contraddizioni. Questi cavalli in questa manifestazione, quest’uomo così autentico, concreto ma allo stesso tempo tanto riflessivo e profondo e i suoi cavalli qui, perché?
“Come stabilisci questo rapporto con loro?” ricordo di avergli domandato.
“Vivendoci,” mi ha solo risposto. E allora mi è sembrato qualcosa di semplice ma se questo è inteso come intende Christian Da Pos, semplice non è. “Vivere con loro” per lui è ritirarsi in una malga, diventare vegetariano per avvicinarsi ancora di più alle inclinazioni alimentari di animali “non carnivori”, parlare fortemente il loro linguaggio, quello che si crea al di là di ogni parola prima, col silenzio, ma che poi torna alle parole.
A qual punto giovani amazzoni ci hanno raggiunto nel box ed è stato qui il vero spettacolo, per queste bimbe, quando Christian ha fatto uscire dal box Peluche, il grande e poderoso lusitano bianco che ha recuperato dopo anni di maltrattamenti. Dal gruppo chiede a una bambina di interagire con lui e noi restiamo a guardare un animale possente che obbedisce, su suggerimento di Christian, ai comandi di una piccola cavallerizza in erba che quel giorno ha capito che il lavoro con questi animali nasce prima di tutto ponendosi l’uno di fronte all’altro, che non servono frustini e speroni per un passo spagnolo, ma un linguaggio condiviso.
“E poi, quando hai finito di dargli i comandi – le dice Christian- fagli una carezza.”Nel mio bilancio annuale mancava che vi parlassi di questa giornata, non dello spettacolo per il pubblico ma di quello che Peluche e Chrisrian da Pos hanno tenuto solo per giovani amazzoni e dell’applauso sincero che si sono meritati, per averci insegnato che parlare, scrivere e vivere di cavalli è prima di tutto imparare un linguaggio, è creare un lessico animale basato sul rispetto.
Fine anno è tempo anche di auguri ed io a Christian, ai suoi arabi e Peluche auguro di vivere quanto più naturalmente possibile. Che i suoi cavalli indichino ancora a lui il linguaggio del branco e che lui possa davvero dedicarsi all’insegnamento e all’addestramento, fuori da qualsiasi spettacolo o gara morfologica.
Auguro ad ogni equestre di trovare un dialogo sincero coi propri animali, a doppio binario. Che possiate al di là di ogni corsa, ogni ostacolo, ogni manifestazione, rispettare la natura dei vostri cavalli. Vivere pienamente una vita di cavallinità.
E un piccolo augurio anche a chi ne scrive di cavalli, a chi ne parla negli ippodromi, in tv, sui giornali, nei libri. A chi racconta storie per ragazzi e chi articoli sui grandi cavalli della storia, a chi un po’ come me scrive d’arte e immagini. Auguro a tutti di trovare le parole ma poi uscire dalle nostre stanze, dagli studi, dai giornali, sporcarsi ancora le scarpe di terra e fieno e tornare a fare semplicemente una carezza ai nostri cavalli perché è da lì che parte ciò di cui noi parliamo.