Quello stallone bianco che affascinò Goethe
VIAGGIO IN ITALIA di J.W.Goethe
Traduzione di Eugenio Zaniboni
“… Era un bel cavallo, bianco come la neve, e di forme superbe; ruppe le briglie che lo tenevano inceppato, si mise sotto le zampe anteriori il primo che si provò a trattenerlo, sferrò dei calci e fece un tal fracasso a furia di nitriti che tutti per paura si sbandarono. Ed egli a saltare oltre il fossato e a galoppar per le campagne, sempre sbuffando e annitrendo.
La coda e la criniera sventolavano all’aria e la sua figura nella libertà dei movimenti era così superba, che tutti gridavano: che bellezza! che bellezza! Poi cominciò a correre su e giù lungo un altro fossato cercando un varco stretto per saltar dall’altra parte e raggiungere i puledri e le giumente che pascolavano al di là a centinaia.
Finalmente il salto gli riuscì e andò a fermarsi tra le giumente che brucavano tranquille. Ma queste ebbero paura dei suoi feroci nitriti, si diedero alla corsa in fila e fuggirono lontano per l’aperta radura; ed egli sempre dietro per raggiungerle a salto.
Finalmente riuscì a sbandarne una, ma questa si mise a correre per un altro campo in direzione di un’altra mandra di giumente. E anche queste alla loro volta, prese dal terrore, via, in direzione della prima mandra.
Tutta la pianura era ornai nera di cavalli, tra i quali lo stallone bianco continuava saltare all’impazzata; e tutti in preda allo spavento e alla corsa selvaggia. Correvano in file serrate di su e di giù per la radura, l’aria stessa ne fremeva e la terra pareva che tuonasse, dovunque passava e calpestava la forza dei pesanti quadrupedi.
Noi rimanemmo a lungo e con piacere a contemplare quella truppa di parecchie centinaia che galoppava a destra e sinistra, ora tutti in una mossa, ora divisi, ora sbandati e scorrazzanti ognuno per conto suo, ora abbandonati in lunghe schiere alla corsa sfrenata.
L’oscurità della notte che si inoltrava ci privò alla fine di questo singolarissimo spettacolo; e come il più bel chiaro di luna spuntò da dietro la montagna, il lume dei nostri fanali già accesi si spense, Ma, dopo essermi deliziato a lungo a quel blando chiarore, non potei resistere ancora al sonno e, con tutta la mia paura della malaria, dormii una buona ora; quando mi svegliai eravamo già a Terracina, dove cambiammo i cavalli…”