La ''lectio magistralis'' di Capuzzo ai cavalieri
LETTERA di Adriano Capuzzo a uno dei suoi allievi. Tratta dal libro sui suoi scritti, è un’autentica “lectio magistralis” per i cavalieri di oggi e di domani.
“Carissimo,
era un freddo pomeriggio di primavera; in un impianto equestre ho visto un uomo a cavallo su di un sauro magro, atletico e di sangue. Aveva, quest’ultimo, il collo spezzato in due da una redine di ritorno impugnata dalle mani esperte di quell’uomo.
Vi era una impostazione di obbligo totale; una sottomissione forzata e intransigente; una volontà di quell’uomo di togliere a quel sauro ogni iniziativa e personalità. Non vi era più un cavallo atleta che collabora con il suo cavaliere; era uno schiavo soggiogato ad un’unica volontà, non certo la sua.
Un’espressione avvilente di una equitazione che non era più un’arte ma una lotta di forze contrapposte, paragonabile a un processo di brutale lapidazione. Il cavallo lavorava male, tant’è che non aveva un filo di schiuma tra le labbra.
Aveva dimenticato, quell’uomo, che le redini di ritorno sono il mezzo per la ricerca della distensione dell’incollatura verso il basso con interventi non continui e delicati, così da arrotondare la schiena verso l’alto portando di conseguenza più sotto il posteriore.
Aveva dimenticato, quell’uomo, che le redini di ritorno non servono per saltare.
Aveva dimenticato, quell’uomo, che sul salto, anche se lasciate del tutto, le redini di ritorno non permettono all’incollatura di svilupparsi completamente e quindi non consentono alla bocca del cavallo di allontanarsi dalla mano del cavaliere, di portare avanti il garrese arrotondando la schiena e svincolare atleticamente il posteriore dalla sommità dell’ostacolo; in un’unica parola “basculare”
Aveva ancora dimenticato, quell’uomo, la pericolosità di saltare con le redini di ritorno. Se il cavallo abbassasse veramente l’incollatura e rilevasse gli avambracci infilando così il muso fra le ginocchia, le redini di ritorno farebbero “arco” perché non in tiro. Vi sarebbe a quel momento il rischio che un ginocchio si infili dentro la redine allentata, con inevitabile e stramazzante caduta, in gergo un bel “cazzotto”.
Aveva poi dimenticato, quell’uomo, che per evitare il rischio di cui sopra avrebbe potuto passare la redine di ritorno all’interno del pettorale del cavallo, evitando così il “lasco” della redine stessa.
Aveva infine dimenticato, quell’uomo, che un bravo cavaliere deve sempre dare l’esempio e che per saltare è doveroso mettersi il cap a protezione del CRANIO dentro al quale dovrebbe esserci il CERVELLO, indispensabile per ragionare.
Tutto questo ho visto in quel freddo pomeriggio primaverile e sono stato pervaso da tanta tristezza e da tanta amarezza.
Un abbraccio
Adriano