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  • Ippoterapia in Sardegna, la relazione di M. L. Galli
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  • 26/03/2009

Ippoterapia in Sardegna, la relazione di M. L. Galli

RELAZIONE della dr.ssa Maria Lucia GALLI, psicologa e giornalista, al seminario di studio che si è tenuto a Oristano sul tema "Il cavallo co-terapeuta nel trattamento delle patologie psicologiche e fisiche dei bambini e degli adolescenti".


NEL PRIMO LIBRO della Genesi,  Dio, ultimata la sua opera, presenta gli animali a Adamo affinchè attribuisca loro un nome, rendendone manifesta l’essenza attraverso l’uso magico della parola. Sono molti i commentatori, antichi e moderni, che hanno interpretato questo mito delle origini come il riconoscimento implicito dell’animale in quanto Archetipo vivente, forma eterna che, costantemente ripetuta e rinnovata, si aggira tra noi a testimonianza della continuità della creazione. Una chiave di lettura sapienziale, presente non soltanto nella cultura della quale facciamo parte tant’è che riferimenti al profondo legame che unisce l’uomo al mondo animale sono rintracciabili nelle cosmogonie di molti popoli e in miti e racconti che si snodano in tutte le epoche della storia.
E’ fuor di dubbio però che, tra tutti quelli che fanno parte dell’immaginario collettivo, il cavallo sia uno degli animali simbolo più universali. Sembra quasi almeno dal punto di vista simbolico che l’uomo abbia proiettato sulla figura del cavallo la propria natura ambigua e contraddittoria, divina e demoniaca. Ma cosa è dunque che rende così particolare il rapporto che lega l'uomo al cavallo?
 Tra la nostra specie e quella equina si sono venute delineando nei millenni tre diverse modalità di interazione. Forse sarebbe più esatto dire due filoni principali costantemente mediati da un terzo che li ha avvolti trasformandoli e spesso addirittura sublimandoli. In altri termini tra l’atteggiamento strettamente strumentale,  che vuole l’animale oggetto (per il lavoro o lo svago) e quello affettivo che lo vive come referente di bisogni psicologici e emotivi, è venuto collocandosi l’aspetto simbolico che ci porta a proiettare sul cavallo parte delle nostre qualità e dei nostri difetti, quasi a prefigurare nella relazione con lui alcuni aspetti del nostro destino. Indubbiamente questa chiave di lettura si è rivelata a volte profondamente problematica (per il nostro innocente compagno), ma è altrettanto vero che essa presuppone, per essere realizzabile, alcuni elementi estremamente interessanti.

IN SIMILE CONTESTO è estremamente affascinante scoprire come i miti e le  leggende che ci giungono da tempi , culture e periodi storici diversi e che hanno per  protagonista il cavallo siano in grado di parlarci ancora attraverso quelle modalità proprie del linguaggio simbolico che il prevalere della cultura tecnologica sta attualmente mettendo in ombra in modo francamente preoccupante.
Figlio della Terra e del Mare, associato al Fuoco e all’Acqua, partorito dalla Notte ma capace di trainare il Carro del Sole, il cavallo ci appare presso tutti i popoli e tutte le culture portatore di valenze contraddittorie sia benefiche che malefiche. Se da un lato rappresenta la memoria del mondo, collegandosi ai grandi orologi naturali della fertilità, dall’altro incarna la bellezza raggiunta attraverso il dominio della spiritualità sulla materia; se da un lato compare negli incubi e nelle cacce diaboliche, dall’altro è il compagno dei santi, degli dei e degli eroi; se da un lato è l’animale delle tenebre e dei poteri magici compagno degli iniziati, dall’altro è il simbolo dell’eros, della vitalità primaria, delle forze  libidiche  inconsce. Operare una sintesi dei tanti racconti mitici che hanno per protagonista questo affascinante paradosso a quattro zampe non è cosa facile.  C’e un aspetto però che vorrei particolarmente sottolineare in questa sede perché mi sembra sia quello più utile a farci comprendere perché il cavallo abbia un ruolo  privilegiato nell’ambito delle terapie con gli animali:  quello che lo collega ai simboli propri del mondo femminile.
Il cavallo, probabilmente proprio per la ritmicità della sua andatura sembra infatti capace di evocare quella materna e quindi di  riportare alla coscienza antichi vissuti prenatali, consentendo al proprio cavaliere  una sorta di  benefica regressione. In questo contesto il cavallo sembra porsi ( per dirla con la terminologia di Winnicott) come una madre sufficientemente buona capace di accettare, contenere il soggetto e in prospettiva di aiutare a stimolarne l’autonomia. La dimensione relazionale delle terapie con il cavallo nasce dal ruolo attivo svolto da ciascuno dei protagonisti: il paziente, il terapeuta e il cavallo. %%newpage%%

 CIASCUNO COSTITUISCE un polo di questa triangolazione : il paziente verso il cavallo e il cavallo verso il paziente : il terapeuta verso il paziente e il paziente verso il terapeuta : il cavallo verso il terapeuta e il terapeuta verso il cavallo. 
Ovvio che in questo gioco di specchi e di vissuti entri in ballo la memoria degli archetipi e dei simboli che da millenni accompagnano la figura di questo animale nell’immaginario simbolico dell’uomo. In altre parole conoscere almeno in parte quali forze mobiliti nel nostro inconscio l’archetipo del cavallo non è un puro vezzo culturale, ma può aiutarci a capire alcune delle nostre aspettative nei confronti del soggetto  in carne ed ossa con il quale dobbiamo interagire.
Il pensiero psicoanalitico ha individuato nel cavallo il rappresentante delle forze vitali profonde dalle quali è sorretto l’io. Espressione di potenza e di vita, ma anche materializzazione dell’energia psichica inconscia e della solo parziale capacità della ragione a contenerne l’emergerne autonomo e travolgente, il cavallo sembra riflettere la nostra stessa conflittualità interiore provocando un tipo di risposta che inevitabilmente riproduce, esteriorizzandolo, il rapporto profondo che abbiamo con noi stessi.
Sono molte e complesse le problematiche esistenziali, psicologiche etiche e terapeutiche che scaturiscono da questa chiave di lettura e che coinvolgono quotidianamente i cavalli in carne ed ossa. Una cosa però mi pare importante sottolineare: se interagire con un cavallo rappresenta il tentativo di integrare nella propria vita cosciente le parti istintuali (L’ombra di Jung o L’anima di Hilman) allora nel rapporto quotidiano con il nostro compagno a quattro zampe (così come all’interno di un corretto sviluppo psicologico) dovremo saper instaurare una relazione che sappia contenere senza coartare, assecondare guidando, stabilendo con lui quel sottile gioco del cedere e del richiamare che non confonde mai autorità e fermezza con forza e violenza. 

E’ FUOR DI DUBBIO che il cavallo sia percepito a livello di massa come un animale molto affascinante, ma è altrettanto indubbio che molte persone, al primo contatto con lui, abbiano delle reazioni di paura.Ma la cosa più interessante sulla quale riflettere e che tutti noi, che pure lo frequentiamo abitualmente, abbiamo spesso la tendenza ad interpretare certe sue reazioni in modo “simbolico” dando il via a una serie di vissuti simbolici che molto poco hanno a che fare con le reali intenzioni del nostro partner a quattro zampe.
Il cavallo, non mi stancherò mai di ripeterlo, è qualcuno con cui si realizza, seppure per un tempo determinato, un tipo di binomio che lega due individualità allo stesso destino. 
E’ una sorta di società al 50%…e, se uno dei due entra in conflitto con l’altro, il fallimento può avere conseguenze disastrose che possono coinvolgere anche l’integrità psico-fisica del cavaliere.
.Il valore pedagogico dell’equitazione sta tutto qui…nella capacità di sviluppare l’attitudine alla comprensione dell’altro ( un altro lontanissimo dal nostro modo di pensare, proprio per la sua natura di erbivoro), l’apertura ad accogliere ansie e paure che non ci appartengono imparando a non farcene travolgere e a farle decantare positivamente, la sensibilità di intuire e di sapersi identificare con “l’altro da noi”. Insomma  ci insegna ad entrare in sintonia con gli altri indicandoci la via di come fare per  coglierne i bisogni senza abdicare a noi stessi.
 
LA RELAZIONE uomo-cavallo è il prototipo della relazione sociale con  la diversità dell’altro, ma è anche a mio avviso la spia della relazione che riusciamo a instaurare con parti importanti della nostra psiche…diverse dagli aspetti strettamente razionali. Può essere, se ben indirizzata una importantissima modalità di formazione psico-pedagogica. Imparare a comprendere la diversità e a rapportarsi ad essa con mente aperta e priva di “pre-giudizi” può formare cittadini pronti a integrare con forme di cultura differenti dalle proprie, disponibili ad accogliere senza paure chi sia portatore di esperienze di vita altre dalle nostre .In altre parole è una forma di educazione alla tolleranza. Imparare a “fare squadra” con qualcuno che, in quanto erbivoro e animale, ha una percezione della realtà molto diversa da quella umana, aiuta a comprendere che le differenze sono fonte di arricchimento e che non vanno temute, ma accolte e integrate. Ovvie le mille implicazioni di questo modo di “leggere” l’equitazione e il ruolo del cavallo nella nostra società. Eppure anche se in modo contraddittorio e confuso ( starei per dire pre-culturale) quel milione di praticanti l’equitazione esprime una linea di tendenza molto vicina a queste tematiche e non solo in Italia.
La riscoperta dell'animale cavallo, così forte in questo momento storico, sembra rispondere al bisogno sentito, anche se forse non ancora del tutto concettualmente esplicitato , di ricongiungerci con quelle componenti emotive ( primordiali) che questo animale rappresenta nell’immaginario simbolico collettivo. Ma perché questo sia reso possibile occorre rivolgersi al cavallo ponendosi all’interno di una relazione che sappia coglierlo in maniera doppia: come singolo soggetto (nella sua individualità) e contemporaneamente come referente simbolico in grado di riconnetterci alla emozionalità del mito.

 

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