The Harder they fall: un black western molto pop.
Un'amazzone, immobile con il suo cavallo nel bel mezzo delle rotaie di un treno che arriva a tutta velocità. Incuranti dei fischi imperiosi del capotreno, la donna e la sua cavalcatura non si muovono. E il treno, miracolosamente, riesce a fermarsi a qualche metro da loro. Senza che nessuno dei due abbia un solo fremito di paura. Se il treno li avesse investiti in un frullio di interiora e di ossa, saremmo dalle parti di Tarantino. Ma Quentin non è l'unico padre putativo di questo black western pop offerto dalla piattaforma Netflix, che se lo è accaparrato quando il Covid ha bloccato gli spettacoli nelle sale. C'è anche Sergio Leone, che con i treni, le attese e i cavalli ci ha offerto dei precisi codici narrativi. A questi due registi si è evidentemente ispirato Jaymes Samuel, per il suo western rutilante come un gioco elettronico, con tutti i protagonisti neri, i colori saturi, innaturali e un colpo di scena poco prima del duello finale, unico e ultimo omaggio alla tradizione del genere.
La storia di Nat Love, pistolero, rapinatore, con la fronte segnata da una cicatrice a forma di croce, incisagli quand'era bambino da uno sconosciuto che gli ha ucciso padre e madre, mette troppa carne al fuoco, nel raccontare la corsa a un bottino che mette l'una contro l'altra tre bande rivali: in realtà il motore, il vero cuore pulsante della vicenda, è la spasmodica ricerca del delinquente che gli ha massacrato la famiglia, e gli ha segnato la fronte.
Ma è proprio nel corso di una rapina al treno, attuata da un'altra banda, che viene liberato un fuorilegge famoso per la sua crudeltà, Rufus Buck, impersonato da un impareggiabile Idris Elba, interprete in grado di dare al suo personaggio una coloritura dolorosa, melanconica, e di farlo diventare, da antagonista, protagonista assoluto della vicenda. Attore britannico, Elba ha una statura attoriale anche superiore al bravissimo Denzel Washington. Personalmente lo vedrei benissimo in certi personaggi shakespeariani. Non solo Otello, anche Macbeth, o Re Lear.
Rufus è l'uomo che Nat Love sta cercando da tutta la vita. L'uomo di cui vuole vendicarsi, uccidendolo. L'uomo che cercherà di braccare, con l'aiuto di uno sceriffo che vuole solo togliersi di torno un delinquente omaggiato da tutti.
Nel piccolo paese dove s'intrecciano le sorti delle bande rivali e dove la skyline delle case rimanda alla tradizione americana immortalata cinquant'anni dopo dai quadri di Hopper, l'agguato è norma corrente: si rincorrono l'una con l'altra la banda che è stata rapinata dal primo bottino, quella che ha liberato Rufus, quella degli amici di Nat. E due donne: la capobanda Trudy Smith, capace di bloccare un treno mettendosi di traverso nei binari, interpretata da una bravissima Regina King, e Mary Field, amante di Nat, proprietaria di un saloon in cui la buona creanza dei clienti, obbligati a lasciare all'ingresso le loro rivoltelle, è da lei amministrata a colpi di moschetto.
Inutile dire che dall'inizio alla fine non si contano i morti (c'è anche un braccio che atterra in primo piano, dopo lo scoppio di un candelotto di dinamite). Ma il punto di forza del film non è nelle ecatombi cui Tarantino ci ha già abituato (penso a "Django Hunchained" e a "The Hateful Eight") quanto nell'interpretazione di tutto il cast di stelle nere, nel plot principale sostanzialmente azzeccato, nell'irridente rivalità fra pistolere pronte a menare le mani e a uccidere come e più dei loro uomini. E nei costumi che, rifiutando ogni filologia, caratterizzano i protagonisti con grande efficacia.
All'inizio del film una scritta avvisa che i personaggi del film sono realmente esistiti, anche se non hanno fatto tutto quello che viene raccontato: e infatti, chi voglia trovare negli archivi digitali le foto del vero Nat e del vero Rufus, sarà premiato. Anche se le loro vite sono state parecchie diverse da quelle raccontate nel film. Un ennesimo giro di carte al tavolo dell'immaginazione, che si regala il diritto a servirci dozzine di assassini, ma in cui neppure un cavallo viene maltrattato o ferito. I cavalli - inquadrati quando sono attaccati alla diligenza, o quando vengono schierati dai loro cavalieri - sono un armonioso disegno nell'inquadratura, un dono degli dei. Sono fuori dalla mischia. O meglio, al di sopra.