Galoppando nel nulla
Arriva un cavaliere libero e selvaggio. Un bell'uomo con i tratti energici di Daniele Liotti che si affaccia sul piccolo schermo della rete ammiraglia Rai nella serie "Un passo dal cielo", ormai arrivata al suo decimo anno. Siamo sulle Alpi, Liotti interpreta un comandante del Corpo Forestale, da tempo succeduto a Terence Hill, protagonista delle prime tre stagioni.
Se in "Yellowstone", di cui abbiamo scritto nella scorsa rubrica, c'erano gli sconfinati territori del Montana qui c'è l'impagabile panorama montano delle Alpi (nell'ultima serie si è cambiata location, ma la bellezza regna comunque sovrana). Ma tanto splendore - inquadrato ogni due per tre dai droni che volteggiano alti nel cielo - non è il protagonista e neppure un personaggio della serie. Il territorio di cui dovrebbe occuparsi il forestale Liotti è soltanto un fondale, una quinta di scena. Sicché i protagonisti non hanno alcun rapporto con l'ambiente in cui agiscono, e il loro stare sui monti non genera alcun meccanismo narrativo.
Il problema del territorio montano, della gestione della flora e della fauna selvatica, delle esigenze del turismo, dei capitali che si possono investire, del clima, è ricchissimo di spunti "forti". Ma c'è da credere che nei dieci anni in cui la serie è stata pensata, scritta e realizzata, gli autori non abbiano mai preso in mano un libro che riguardasse questi temi. E neppure il fatto che dal 2015 il Corpo Forestale è stato inglobato nell'Arma dei Carabinieri (decisione che ha suscitato reazioni e resistenze). Sono semplicemente rimasti nelle loro case, a pantografare serie precedenti, ambientando sulle Alpi delle storielle da condominio paesano. Molta ignoranza, molta superficialità, a partire dalla lontanissima stagione del 2011 in cui, nella prima puntata, vediamo un sindaco "ordinare ufficialmente" l'abbattimento di un lupo, che si pensa sia "cattivo", salvo poi scoprire che non lo è. Ora, il lupo è una specie protetta, è vietato abbatterlo, e da anni c'è un accesissimo dibattito fra i pastori montani che vogliono lasciare le greggi senza custodia chiedendo l'abbattimento dei "lupi cattivi" e chi invece, correttamente, recinta gli ovini, mette cani da pastore, una guardianìa, in modo che il lupo, animale elusivo e notturno, venga indotto a trovare le sue prede fra i selvatici. Ci sono valorosi centri di tutela come quello di Monte Adone, come "Io non ho paura del Lupo" che agisce soprattutto sui Monti Lessini, o WildUmbria. Insomma c'è una realtà molto dinamica, agguerrita e forte. C'è un'accesa discussione sulla eventuale domesticità dei selvatici, che va assolutamente disincentivata. E invece, nella serie vediamo un forestale che porta al guinzaglio un lupo come se fosse un cane (non vorrei sbagliarmi, ma è un cane davvero: forse un cane lupo cecoslovacco).
Ma arriviamo ai cavalli. Terence Hill, forestale, va a cavallo. Daniele Liotti, che ne eredita il comando, va a cavallo pure lui. Ma chi è questo cavallo, che monta per un sopralluogo mezz'ora dopo essersi presentato alla stazione della forestale di cui ha assunto il comando? Dove è scuderizzato? A chi appartiene? Chi se ne occupa? Che rapporto stabilisce Liotti con questo animale, che prima è sauro, e poi diventa un baio? E perché lo manda continuamente al galoppo, rischiando di sfiancarlo? Secondo le tabelle di addestramento del cavallo sportivo, un cavallo è in una forma strepitosa - per un Completo Olimpico - quando riesce a galoppare per 20 minuti di seguito. Il cavallo di Liotti viene mandato continuamente a spron battuto per monti e per valli (spesso senza motivo, solo per dare al drone la scusa di seguirlo dall'alto). Viene lasciato in mezzo a un bosco senza essere legato a un ramo, neanche fosse una moto al parcheggio. Questo non mortifica soltanto il povero equino, ma la credibilità delle vicende, dei personaggi, l'atmosfera del racconto.
Mi si obbietterà che la serie è molto seguita: questa sesta stagione, dopo una flessione della quinta, ha debuttato con oltre cinque milioni di ascolto. Di certo, dopo un anno di prigionia casalinga, lo sfarzo di quei territori ha conquistato l'attenzione del pubblico. Ma questo non è un buon motivo per sprecare un'occasione che sarebbe stata davvero preziosa per attraversare questi temi così attuali e scottanti (penso anche all'accesissima discussione sull'impropria reclusione degli orsi al Casteller, la prigione in cui è stato confinato anche M49, soprannominato Papillon). E invece no. Con buona pace di attori garbati come Enrico Ianniello, o "in parte" come Daniele Liotti (che viene fatto spogliare ogni puntata, perché è un figaccione bestiale). Che peccato. Che grande peccato. Se si è a "Un passo dal cielo" occorrerebbe non ruzzolare nell'abisso della banalità.