Etologia, riflessioni sulle teorie dell'apprendimento
Esistono molteplici scuole di pensiero sui metodi migliori per vivere una corretta relazione con il proprio cavallo, o su come impostare un addestramento corretto. Tuttavia, la tendenza a seguire pratiche ‘tradizionali’ o che ‘hanno sempre funzionato anche per i più grandi cavalieri…’, pone i tecnici nel rischio di abusare del cavallo senza magari rendersene conto. Una ricerca condotta in Australia nel 2008 ha dimostrato che solo una piccolissima percentuale di tecnici (ufficialmente riconosciuti dall’Equestrian Federation of Australia, EFA) sapeva definire il rinforzo positivo, il concetto di punizione ed altri elementi della teoria dell’apprendimento che però dichiaravano di usare quotidianamente. Se non si conoscono le basi delle tecniche di insegnamento che usiamo, sarà impossibile applicare una visione critica di ciò che stiamo facendo. Magari conosciamo la tecnica, ma senza la base è facile incorrere in errori che non ci rendiamo nemmeno conto di fare. Un uso non corretto dei rinforzi, ad esempio, dovuto ad una scarsa conoscenza delle basi teoriche che sono dietro al nostro metodo di insegnamento, può degenerare facilmente nella percezione da parte del cavallo di una punizione, con conseguente sviluppo di paura, frustrazione e un drastico decremento della capacità di apprendimento e del benessere.
In una serie di articoli, ripercorreremo lo sviluppo delle teorie dell’apprendimento più seguite, parleremo di come apprendono i cavalli e definiremo rinforzi e aiuti. Le tecniche utilizzate oggi per addestrare i cavalli hanno origine nelle teorie dell’apprendimento. Piuttosto che applicare una formula (applicare la tecnica x nella condizione 1, y nella condizione 2), é importante conoscere queste teorie, almeno nelle loro parti fondamentali, perché bisogna avere le conoscenze per pensare con la propria testa e saper scegliere se applicare un metodo di apprendimento o un altro.
PARTE 1 – Il modello comportamentista e quello cognitivista
Comportamentismo
Le teorie dell’apprendimento non sono state sviluppate per addestrare i cavalli e non ne esiste una soltanto. La teoria comportamentista è quella che viene più spesso utilizzata con gli animali non-umani, ed è nata anni ’60-70 grazie soprattutto al contributo di Pavlov, Skinner, Watson e Thorndike.
Nasce come risposta alla corrente di psicologia introspettiva che aveva dominato il XIX-XX secolo e che si interessava soprattutto alle emozioni (soggettive) che seguivano un evento, difficilmente misurabili oggettivamente. I comportamentisti proposero invece di studiare i processi di stimolo-risposta, i risultati dei quali sono comportamenti oggettivi e misurabili. Un esempio molto noto è quello del cane di Pavlov, che inizia a salivare quando vede del cibo (stimolo = cibo, risposta = salivazione). L’attrattività del cibo è misurabile in maniera oggettiva dal tasso di salivazione. In questi esperimenti di condizionamento classico, il soggetto non compie un’azione ma automaticamente produce una risposta, mentre nel condizionamento operante (studiato soprattutto da Skinner) l’individuo produce un’azione per ottenere un premio (per esempio, un ratto che preme la leva per ottenere cibo). Con i cavalli spesso si usa il condizionamento operante: si chiede di compiere un’azione (es. sposta l’anteriore destro) che normalmente non porterebbe ad una ricompensa. Il partner umano farà peró in modo che la ricompensa arrivi (quando il cavallo gira, verrà rimossa la pressione; si parla in questo caso di rinforzo negativo, ma ne parleremo nei prossimi articoli). In questo modo, il cavallo associa l’atto di spostare l’anteriore a seguito della pressione con una ricompensa.
Secondo i comportamentisti, la principale motivazione all’apprendimento deriva da una ricompensa che viene elargita: la conoscenza viene impressa nel soggetto attraverso la costante ripetizione degli stimoli e dell’associazione di premi con la risposta giusta. Il soggetto quindi acquisisce dei moduli comportamentali, che ripeterà in maniera non flessibile (cioè sempre nello stesso modo) quando viene riproposto lo stesso stimolo (un po’ come quando spegniamo la sveglia ancora addormentati la mattina!). I comportamentisti quindi pensano che l’apprendimento non sia il risultato di un’elaborazione mentale, e ritengono che il comportamento sia solo una risposta ad uno stimolo. Per esempio: un cavallo ha imparato a salire su una pedana in un certo luogo. Secondo il comportamentista, lo stesso cavallo dovrà imparare nuovamente a salire su quella pedana se questa viene spostata altrove, perché gli stimoli sono diversi e quindi la sua risposta sarà diversa. Non si tiene conto del fatto che il cavallo potrebbe (come in effetti accade) generalizzare gli stimoli e salire sulla pedana comunque (posta una condizione di stress intermedio e posto che gli sia dato il tempo di elaborare lo stimolo, come purtroppo non si verifica nella maggior parte dei contesti equestri). Il modello comportamentista non considera la memoria come fonte di elaborazione dell’azione (perché l’azione è solo frutto dell’attivazione di moduli comportamentali e non di elaborazione), per cui il passato del soggetto è importante solo per la ‘storia di rinforzi’ che il soggetto ha (cioè, per quali comportamenti ha ricevuto dei rinforzi). Non si tiene conto dell’ambito emotivo in cui ha avuto questi rinforzi: l’incapacità di dare la risposta giusta è attribuita a qualche mancanza nella storia del soggetto e non, per esempio, ad un contesto di apprendimento stressante.
Il formatore che segue il modello comportamentista ha il compito di plasmare il comportamento del soggetto proponendo un percorso di apprendimento che sarà all’incirca uguale per tutti, e per cui alcuni soggetti avranno bisogno di meno ripetizioni ed altri di più ripetizioni; alcuni di un certo tipo di rinforzo, altri di un altro. Negli esseri umani, questo metodo si è rivelato estremamente efficace nell’apprendimento di nozioni matematiche e scientifiche, molto meno invece per gli aspetti più creativi dell’apprendimento, quali la scrittura, lo studio delle culture o degli eventi storici.
Cognitivismo
La teoria cognitivista (sviluppata principalmente da Piaget e Perry all’inizio degli anni ’70 – per semplicità, consideriamo il costruttivismo come corollario del cognitivismo e non come una corrente a sé) pone più attenzione sugli atteggiamenti e sui processi mentali che non sui comportamenti direttamente osservabili, e tiene conto della componente emotiva delle esperienze passate. Di conseguenza, un esercizio appreso in una situazione di conflitto, porterà sempre a galla un’emozione negativa quando verrà richiesto, rendendo più difficile anche l’apprendimento degli esercizi successivi. Poiché si basa sull’elaborazione delle conoscenze, il modello cognitivista mira ad insegnare strategie: il formatore aiuta il soggetto a sviluppare delle abilità che, combinate in maniera diversa a seconda del contesto, possono aiutarlo a risolvere diverse situazioni. Nel quadro comportamentista, invece, esistono tante risposte prefissate quanti sono i possibili scenari.
Visto che il modello cognitivista insegna strategie, la motivazione all’apprendimento è forte e insita nell’atto di apprendere in sé: il soggetto apprende per migliorare le proprie condizioni di vita. Per esempio, se un cavallo impara i passi laterali per accostarsi ad un cancello, in modo che il cavaliere lo possa aprire ed insieme abbiano accesso ad un bel pascolo, l’apprendimento dei passi migliora la vita del cavallo nell’immediato. Il collegamento è semplice e diretto, ed il cavallo eseguirà l’esercizio più volentieri.
Al contrario dei comportamentisti, secondo i cognitivisti la conoscenza non è uguale per tutti ma ciascuno gli attribuisce dei significati sulla base delle proprie esperienze e conoscenze pregresse, costruendosi una propria mappa di conoscenze. A scuola, eventi storici possono essere interpretati diversamente a seconda di ciò che si sa essere accaduto prima. Parlando di cavalli, salire su un trailer diventa molto semplice se le esperienze passate con passaggi bui e stretti si sono sempre rivelate positive (ad esempio, una strettoia porta ad un grande pascolo). Il cavallo è in grado di generalizzare e quindi può applicare la conoscenza e l’esperienza positiva avuta con i passaggi stretti nel momento di salire su un trailer. È chiaro che, al contrario del comportamentismo, il cognitivismo richiede che ogni sessione di apprendimento sia fatta in un contesto emotivo rilassato e piacevole. Se abbiamo fretta per far salire il cavallo sul trailer, diventiamo ansiosi: il cavallo assocerà il trailer al nostro stress, e non avremo ottenuto un buon risultato.
La mappa di conoscenze personale è anche relativa al luogo (contesto) di apprendimento: stringersi la mano ha un significato per alcune culture ed un altro per altre, così come agitare la coda porta un messaggio diverso in cani e gatti. Il cognitivismo ritiene che l’apprendimento debba avvenire in una cornice quanto più reale possibile ed essere inserita nelle dinamiche della comunità di appartenenza. Questo potrebbe essere un buono spunto da applicare con il cavallo: sarebbe interessante che le nostre richieste e insegnamenti, che per la maggior parte non hanno legame con la vita sociale del cavallo, vengano invece inserite in una cornice reale anche per lui. Se la comunità di appartenenza del cavallo domestico è quella formata da altri cavalli e dall’uomo assieme, trovare un modo per fargli capire che le competenze apprese lo possono aiutare a vivere meglio in questa comunità, renderà senz’altro più interessante e semplice tutto il processo di apprendimento (vedi l’esempio dei passi laterali).
Alla prossima!
In realtà, molto di ciò che viene comunemente insegnato al cavallo deriva dall’associazione fra stimolo e rinforzo (nel caso più comune: aiuti = stimolo, rinforzo = rimozione degli aiuti) e quindi è legato più alla teoria comportamentista che non a quella cognitivista. Ma la scienza (e i risultati di alcuni esperti cavalieri) ci dimostra che il cavallo è un animale cognitivo, con cui è possibile applicare l’approccio cognitivista (vedi i prossimi articoli).
Dalla lettura di questo articolo emerge abbastanza chiaramente quale sia la mia corrente di pensiero. Questo non vuol dire però che il comportamentismo sia del tutto sbagliato. Sia noi che il cavallo che altri animali impariamo per prove ed errori e anche per stimoli e risposte. Abbiamo alcune risposte prefissate la cui probabilità di verificarsi è tanto più alta quanto maggiore è la ricompensa. I due sistemi si integrano in una vita dinamica e flessibile. Fate attenzione quindi a qualsiasi soluzione che proponga uno solo dei due sistemi come valido, per qualsiasi forma di vita complessa (multicellulare!!!) si tratti. Pensate con la vostra testa! Dare al cavallo dell’avena solo se ha un atteggiamento positivo è comportamentista (stimolo = ti mostro l’avena, risposta = mi calmo, ricompensa = ecco l’avena), ma non è affatto sbagliato, anzi!
Poste le basi della conoscenza del comportamentalismo e del cognitivismo, nel prossimo articolo parleremo di come il cavallo apprende e quali meccanismi usa… almeno per quanto noto fino ad oggi. Successivamente, parleremo delle tecniche di apprendimento che vengono usate attualmente e speriamo di stimolare una discussione su come possa essere possibile integrare quello che sappiamo con nuovi metodi di apprendimento.
Riferimenti bibliografici
Berkeley Teaching & Resource Center – Learning: Theory and Research - http://gsi.berkeley.edu/gsi-guide-contents/learning-theory-research/
Krueger, Konstanze, and Jürgen Heinze. "Horse sense: social status of horses (Equus caballus) affects their likelihood of copying other horses’ behavior." Animal cognition 11.3 (2008): 431-439.
Warren-Smith, Amanda K., and Paul D. McGreevy. "Equestrian coaches' understanding and application of learning theory in horse training." Anthrozoös 21.2 (2008): 153-162.