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Perché amo gli animali? Perché io sono uno di loro. (Alda Merino)
L’onoterapia, in questi ultimi anni, ha subito una rivoluzione concettuale nella sua applicazione pratica ed inoltre è stata inclusa (come co-terapia) in programmi riabilitativi strettamente basati su regole applicative e di valutazione dei risultati. Per questo l’onoterapia ha perso quella spontaneistica veste di applicazione ludico-ricreativa ed è entrata a pieno diritto tra le metodologie medico-sanitarie atte ad ottenere un recupero funzionale e globale di soggetti disabili, disagiati o disturbati da alterazioni dello sviluppo psico-mentale.
L’asino d’oro è una storia di iniziazione. Narra di un uomo, Lucio (Apuleio), trasformato in asino, che cade in disgrazia e solo attraverso esperienze degradanti e numerose prove, alla fine della vicenda, purificato, torna ad essere uomo. Dovrà sopportare una vita da asino, ma nascosta sotto la pelle dell’asino c’è la sua umanità, la sua sensibilità. In questo modo può assistere ai comportamenti della gente, tradimenti, menzogne, bassezze di ogni genere, senza essere visto, perché nessuno fa caso ad un asino.
“…Immaginiamoci l’uomo come un animale ammalato di una malattia che simbolicamente chiamo paludismo, dato che viveva nei pressi di pantani insalubri. Questa malattia, che non riuscì a distruggere la specie, gli causò un’intossicazione che produsse in lui una iperfunzione cerebrale- il cui risultato fu che l’uomo si riempì di immagini e di fantasie- di cui, come è risaputo, persino gli animali superiori sono mancanti. L’uomo si trovò ad avere dentro di sé tutto un mondo immaginario, un mondo interno di cui l’animale è privo, un mondo interno diverso e contrario al mondo esterno....
L'asino per millenni è stato fedele servitore dell'uomo per tutte le attività più faticose nell'ambito della vita rurale, ma non solo, perché lo ritroviamo utilizzato anche al traino dei carrelli carichi di minerale nei cunicoli sotterranei delle miniere arrancando faticosamente verso la superficie. Spesso questi asinelli, ricoperti di polvere nera, diventavano ciechi poiché vivevano sotto terra senza mai vedere la luce.
Spesso i termini “segno” e “simbolo”, sono usati come sinonimi, ma essi hanno significati molto diversi.
Il segno è “qualcosa che sta per qualcos’altro”, vedo il cavallino rampante e l’immagine evoca la Ferrari.
Ha sempre un significato. Un significato rigido perché rimanda sempre alla stessa cosa. Non ha mai significato in sé, ma solo in virtù di ciò a cui si riferisce. Lo usiamo per trasmettere un messaggio. Serve per comunicare. Ad esempio le parole, i segnali stradali, i cartelloni pubblicitari sono tutti segni strettamente correlati all’oggetto a cui rinviano.
Quanti modi ci sono per dire “asino”?
Almeno uno per regione. E non solo in Italia, ma ovunque l’asino sia stato presente ha ricevuto un nome aggiuntivo che lo caratterizzava in relazione alla tradizione, ai costumi del luogo e alla funzione che gli veniva attribuita dall’uomo.
Miccio o ciuco in Toscana, moliente o burrico in Sardegna, in Veneto li chiamano mussi, ciuccio in Campania, scecco in Sicilia.
Dal giorno della sua domesticazione, son trascorsi circa settemila anni, l’asino ha portato pesi. Ha solo lavorato sopportando carichi, il più delle volte eccessivi, senza mai protestare. E’ sul suo lavoro che è stata costruita la cultura e l’economia di tutti i paesi che si affacciano sul Mediterraneo (e non solo).
<Basto> si chiama la struttura che gli viene ancorata sul dorso per poterlo caricare e <soma> il carico che ...“Il genere maschile è ingombrato dal fallo”, affermava J. Lacan.
Nella nostra cultura è la sopravalutazione del fallo da parte del maschio. Una vera e propria coazione a esibire la propria virilità. Una costante competizione a <chi ce l’ha più lungo>.
E ci viene in mente l’asino, che di queste cose se ne intende....