L'asino ed il senso del sacrificio
Dal giorno della sua domesticazione, son trascorsi circa settemila anni, l’asino ha portato pesi. Ha solo lavorato sopportando carichi, il più delle volte eccessivi, senza mai protestare. E’ sul suo lavoro che è stata costruita la cultura e l’economia di tutti i paesi che si affacciano sul Mediterraneo (e non solo).
<Basto> si chiama la struttura che gli viene ancorata sul dorso per poterlo caricare e <soma> il carico che porta. Mai si è sottratto a questo suo destino, né mai ha cercato di evitarlo.
Per renderlo obbediente animale da soma sono stati piegati i suoi istinti naturali, cambiato il suo comportamento, repressa l’aggressività, controllata la sessualità (i maschi quasi sempre venivano castrati). Chiuso in un recinto, legato e imbrigliato, guidato con la frusta e il bastone.
L’asino è la metafora di una vita fondata sulla fatica, sulla penitenza. Umile, lo sguardo rivolto a terra, sul dorso il basto carico di pesi. Fa girare le macine dei mulini, le ruote dei pozzi, tira l’aratro e l’erpice.
L’asino è la manifestazione di una esistenza priva di senso che esige solo obbedienza e sopportazione. Corre in fretta sotto il suo carico, con passo sicuro e sottomesso, con spirito paziente procede infaticabile. Usato per la forza muscolare e la resistenza. Bestia da soma, è un animale triste. Chi si trova di fronte un cavallo guarda ammirato e dice <che bello>, chi si trova davanti un asino guarda intenerito e dice <poverino>.
Simbolicamente l’asino rappresenta l’uomo che si piega, si sottomette ubbidiente, si sacrifica.
Da un punto di vista psicanalitico (C.G.Young) il sacrificio è legato alla necessità di cancellare la spinta istintuale che giace nel profondo dell’uomo, la “bestia” inaccettabile che sta in noi.
L’uomo accetta questa sottomissione supino, rassegnato alla sofferenza. Porta i pesi <carico come un asino>, i pesi dei valori morali, della tradizione, dell’autorità. L’uomo che vive la vita come sacrificio, come rinuncia, come dovere <prima il dovere, poi il piacere>, che piega le ginocchia, conosce solo il lavoro <lavora come un mulo>, prende bastonate, subisce il ruolo del capro espiatorio.
Esiste una modalità sana del sacrificio che riconosce la necessità della rinuncia per conseguire un obiettivo. Ogni scelta infatti richiede sempre una rinuncia, è la condizione per rendere possibile l’appagamento del desiderio (sacrificio iscritto in ogni progetto: se voglio raggiungere un obiettivo ad esempio laurearmi dovrò sacrificarmi e anziché uscire con gli amici impegnarmi sui libri). Questo sacrificio consente di conseguire qualcosa di bello e di importante, di trovare gioia e soddisfazione realizzando così le aspirazioni più profonde dell’essere umano.
Anche l’accesso alla Civiltà richiede una rinuncia, un sacrificio di godimento.
Freud: “il sacrificio di una quota di soddisfacimento pulsionale è il prezzo che bisogna pagare per accedere alla dimensione umana della vita”.
Al contrario il sacrificio masochistico dove il sacrificio attuale sarebbe il prezzo di un atteso risarcimento futuro. Sacrificio di questa vita in vista di un’altra migliore. Credenza di un mondo dietro al mondo. E’ un sacrificio illusorio.
Ancora più nevrotico il sacrificio investito di libido, erotizzato. L’ intera esistenza concepita come sacrificio, sacrificio meta della pulsione, trovando in questa dinamica un godimento, fascinazione perversa del sacrificio <la vita è sacrificio>.
Il godimento del sacrificio è malattia.
Si sceglie il sacrificio perché la libertà fa paura. Essere liberi è il vero peso. Meglio il giogo, il peso del sacrificio che ci toglie il peso, ben più grande, della responsabilità.
Per questo gli uomini hanno scelto le dittature, il fascismo. Delegando ad altri il peso di decidere, scegliere, pensare.
Più facile ubbidire.
Questa modalità non si riferisce ad una razza o ad una tipologia di uomo, ma ad una tendenza latente in ognuno di noi.
L’essere umano non desidera essere libero, vuol mettere radici, ha nostalgia della terra d’origine, ha bisogno della sicurezza di una casa, si riconosce nell’appartenenza alla famiglia, al gruppo.
L’asino è questa tendenza dentro di noi.
Molte vite sono vite da asini.
L’uomo-asino sceglie la vita di sacrificio.
L’uomo è l’animale che si sacrifica.
All’asino la vita sacrificale è stata imposta dall’uomo. L’asino nasce libero.
L’animale non è religioso, non è sacro. L’animale non agisce in vista di ricompense. Programmato dall’istinto è rigidamente determinato. Vive nell’attimo presente i suoi bisogni e le sue azioni.
Rappresenta una vita senza costrizioni e pienamente libera.
Ma oggi l’asino è a rischio di estinzione.
Per secoli macchina di lavoro, bestia da soma insostituibile improvvisamente oggi, con l’avvento dei mezzi meccanici in agricoltura, è diventato inutile e rischia l’estinzione.
Nel momento che sembra spacciato l’asino inizia a vivere una seconda stagione. Viene riscoperto per qualità insospettate, rimaste latenti, inespresse per secoli ed entra a pieno titolo nel mondo della pet-therapy come partner nei progetti riabilitativi.
L’uomo saprà riscattarsi da una esistenza sacrificale?
Per Aristotele scopo della vita non è il sacrificio ma la felicità: eudaimonia, buona realizzazione del proprio demone, della propria vocazione.