Varenne e quel giorno di splendida follia...
PARIGI, IPPODROMO DI VINCENNES, ultima domenica di gennaio anno Domini 2001. Entrano per la sfilata i cavalli del Prix d’Amérique e l’attesa si fa spasmodica. Sono circa quattromila gli italiani distribuiti sugli spalti…un manipolo sparuto in mezzo ad almeno quarantamila francesi. E la differenza si fa sentire netta, nella intensità impressionante del boato di incoraggiamento che accoglie il passaggio dei cavalli favoriti: i francesi General du Pommeau, Fan Idole… e l’italiano Varenne.
Non è la prima volta che il campione italiano calca il “trapezio nero” di Vincennes per partecipare a quella che è da tutti giudicata una delle più importanti manifestazioni del trotto mondiale. E’ successo anche l’anno precedente ed è finita tra le polemiche. Due partenze richiamate e la terza (quella buona) a giudizio di molti “meno valida delle precedenti”. Gira in casa italiana il sospetto, appena sussurrato, di una volontà (certo inconsapevole) di rendere la vita difficile al nostro campione. Varenne è solo terzo. Ma di quella corsa resta il vincitore morale. Ha dimostrato grinta, coraggio, capacità di recupero.
Perché meravigliarsi? E’ un cavallo abituato a lottare. Ha cominciato a farlo già prima di nascere. Sua madre Ialmaz al quarto mese di gravidanza ha rischiato di morire per un misterioso avvelenamento. E’ riuscita a salvarsi, ma il vero miracolo è stato riuscire a portare a termine la gestazione. E non era finita. Anche nella notte della sua nascita (è il 19 maggio 1995), e la leggenda vuole, come in tutte le favole, che sia buia e tempestosa, le cose non vanno proprio come dovrebbero andare. Deve lottare Varenne per venire al mondo. Bruciare il tempo come in una grande corsa… per un soffio, ma ce la fa. Le prove non sono però ancora finite. Giovane puledro, una piccola frattura lo immobilizza in box per giornate interminabili. Ci vuole equilibrio mentale e spirito di adattamento per non lasciarsi andare o per non perdere la testa. E lui ancora una volta ce la fa. E poi la scoperta del chip, e poi…. Sembra il destino dei grandi campioni avere un’infanzia da…brutto anatroccolo!
Pensieri che attraversano la mente mentre i cavalli sfilano leggeri davanti alle tribune. Bisogna vincerlo, questo Amérique. I trionfi morali non figurano sui palmarés. Che ci piaccia o no, sono le vittorie effettive che rendono grande un cavallo.
Gli italiani hanno un conto aperto con questa corsa. Un conto che si chiama Tornese. L’ha tentata per ben cinque volte, il sauro d’argento, e per ben cinque volte è stato battuto. Anche se questo non gli ha impedito di entrare nella legenda, sono comunque sconfitte che bruciano ancora. Si parla di questo e di altro sulla tribuna dove i fans di Varenne si sono raccolti, stretti l’uno all’altro, nel tentativo di far passare in fretta gli ultimi interminabili minuti prima del via ai nastri di partenza.
La prima revoca del segnale d’avvio lascia tutti col fiato sospeso. Poi si parte e durante gli ultimi duecento metri, in un silenzio che si è fatto assordante, si riesce solo a trattenere il respiro, le dita spasmodicamente incrociate, gli occhi fissi sul traguardo. Varenne vince ed è la follia: chi urla, chi piange, chi ride, chi si abbraccia, chi si precipita in pista. In mezzo al caos più totale, solo uno resta tranquillo, al centro della pista, lo sguardo un po’ distaccato di chi non ha mai avuto dubbi, qualcuno che sembra già essere prioettato nel futuro ad una domenica di gennaio del 2002 in cui quella scena si sarebbe ripresentata uguale: Varenne.

Varenne e Giampaolo Minnucci nelle foto di Stefano Grasso