Dolore cronico, un medico con la coda può aiutare?
Il dolore cronico è uno dei principali problemi di salute a livello mondiale, e la prima causa di richiesta di cure mediche. Si tratta di un tipo di dolore ben diverso da quello che può derivare da un trauma, e deve essere ritenuto una vera e propria malattia, troppo spesso sotto-stimata e non trattata in maniera adeguata. È un dolore invalidante, che altera le capacità fisiche e psicologiche di chi ne soffre, con notevoli ripercussioni nella famiglia e nelle relazioni sociali. Un pungolo quotidiano, con il quale purtroppo occorre trovare strategie di sopravvivenza, spesso difficili e che mettono a dura prova le persone che si trovano vittime, per patologie o malattie degenerative, di questo terribile, quanto inseparabile, compagno di vita.
Il dottor Paolo Poli, già direttore dell’Unità operativa complessa di Terapia del Dolore dell’ospedale di Pisa, è un medico chirurgo, specialista in Anestesia e Rianimazione e Terapia del Dolore. Ha dedicato tutta la sua professione, e buona parte della sua vita, a studiare il dolore e trovare strategie sempre nuove per aiutare a combatterlo chi ne ha necessità, al punto che nel 2015 ha fondato la SIRCA (Società Italiana Ricerca Cannabis) di cui è presidente e nel 2016 ha fondato la POLIPAINCLINIC di cui è amministratore.
Che cosa c’entra, penserete voi, lettori di Cavallo2000, tutto questo con gli animali e, in particolare, con la mia rubrica dedicata agli “amici di scuderia”?
Che cosa c’entrano loro, ovvero i nostri amici a quattro zampe, con il lavoro del dott. Poli, e quindi con la possibilità di interagire in qualche modo, e coadiuvare i pazienti che soffrono di dolore cronico, lo chiediamo direttamente a lui che, grande amante degli animali, dei cani in particolare, si è reso disponibile per i lettori di Cavallo2000 e noi lo ringraziamo di cuore.
Perché ha scelto tra i vari ambiti della medicina di occuparsi proprio di dolore cronico?
La scelta è stata fatta alla fine degli anni Ottanta, allora lavoravo in rianimazione e nessuno parlava né di cure palliative né tantomeno di terapia del dolore. Di fatto, quando non si sapeva più cosa fare di un paziente perché non era più possibile alcuna cura, veniva mandato in rianimazione. E così, quando rientravo dalle sale operatorie, mi dedicavo a queste persone che stavano lì, in attesa, aspettando che arrivasse un medico per poter ricevere informazioni, rassicurazioni. Fu allora che cominciai a trattare questi pazienti, ovviamente con le metodiche che avevamo allora, di fatto quasi solo con l’utilizzo della morfina. Con la mia esperienza di anestesista mi resi presto conto che potevo fare qualcosa per loro. In tutta Italia, allora, saremmo stati in venti: nessuno si occupava di queste cose, e così decisi di farlo io.
Come si può definire il dolore cronico?
È facile: una malattia. Il dolore cronico è una malattia, non è semplicemente un sintomo. O meglio è un indicatore che ci dice che nell’organismo qualcosa non va. Prima il dolore si divideva in acuto e cronico e si riteneva che questo passaggio avvenisse dopo un certo tempo: per esempio un dolore acuto si può definire cronico dopo circa tre mesi. Questo non è vero: un dolore cronico si può instaurare nell’organismo anche in una sola giornata. Avvengono infatti delle modificazioni nel cervello che portano a un cambiamento immediato, a questo punto il dolore cronico non è più un sintomo, ma una malattia che colpisce nella psiche, nell’animo e nel fisico. Ecco quindi un concetto nuovo, nato negli anni Novanta: il dolore è una malattia. Il dolore, poi, porta ad ansia, depressione, che non fanno altro che aumentarlo innescando un pericoloso circolo vizioso, che si auto-alimenta. Dolore-ansia-depressione-aumento del dolore. Il paziente deve essere seguito da più specialisti che, insieme, riescano ad affrontare questo mostro, non lo si può sconfiggere, questo lo sappiamo, ma lo si può calmierare ed è un grandissimo risultato e l’obiettivo del nostro operato.
Quali sono le persone – e di conseguenze le situazioni – che più frequentemente ne soffrono?
Rispondo con un dato che vi sorprenderà: il 45-50% di persone in Italia soffre di dolore cronico, che può essere di varia natura intendiamoci. Può derivare da mal di schiena, cefalea, emicrania, dolori neuropatici, post erpetici, da tutte le patologie del sistema nervoso centrale e naturalmente dalle varie forme di neoplasie.
Lei utilizza la cannabis a scopo terapeutico. Ci può spiegare, in breve, in che cosa consistono i trattamenti e perché sono efficaci nella gestione del dolore cronico?
Una premessa doverosa: la cannabis non è un buon analgesico, o meglio esistono analgesici molto più potenti ed efficaci che però hanno effetti collaterali spesso devastanti. Al contrario, la cannabis è un farmaco, anzi un fito-farmaco per essere precisi, che può controllare il dolore senza effetti collaterali, senza problemi di aumento di dosaggio né di assuefazione, quindi per noi è un fito-farmaco “sicuro”.
Cure mediche efficaci da un lato, ma quanto conta il piano emotivo e psicologico dei pazienti?
Tantissimo, per poter curare il dolore abbiamo visto che è necessario curare ansia e depressione che ne derivano come malattie a se stanti, questo ci dà la misura di quanto sia fondamentale poter mettere il paziente nella condizione psicologica migliore. Certo non è cosa facile.
Le presenza e il rapporto con un animale, con un cane per esempio, o con un gatto, possono interagire? In che modo?
Sicuramente possono dare un grande aiuto, non occorre che spieghi io il beneficio che portano gli animali, basti pensare alla pet-therapy per avere un’idea del prezioso contributo che i nostri amici animali possono darci. Pensiamo a una cosa semplice, che può apparire addirittura banale: la carezza. Accarezzare un cane, un gatto, ci dona una sensazione meravigliosa, è una cosa magica che porta rilassamento, benessere, che rasserena e conforta. Un grandissimo beneficio.
Per alcune patologie ci sono cani che, appositamente educati e formati, possono addirittura diventare importanti “sentinelle”, penso al diabete, alle crisi epilettiche e cardiache. Può essere così anche per il dolore?
L’animale percepisce certamente il dolore, ma non possiamo dimostrarlo. Loro si accorgono dello star male della persona, ma non è come per il diabete o le crisi epilettiche: in queste circostanze il cane può avvertire con il suo fiuto eccezionale il cambiamento dell’odore della persona e darne segnale. È stato provato che l’animale può accorgersi e segnalare anche l’insorgenza di neoplasie.
E per il dolore cronico negli animali, purtroppo ne soffrono anche loro, che lei sappia sono applicabili cure simili; è praticabile, per esempio, l’utilizzo della cannabis ?
Si può utilizzare, ma il THC in veterinaria va gestito con molta cautela, mentre il cbd può essere somministrato. Mi spiego meglio. La cannabis ha due principi attivi fondamenti: THC (ovvero tetraidrocannabinolo) e CBD (cannabidiolo), oltre a tantissime altre sostanze fra cui i terpeni e i flabonoidi e altre 150-200 sostanze che, di fatto, si conoscono poco o nulla. Ricordo, rapidamente anche se non è questa la sede per parlarne in maniera approfondita, che le cannabis non sono tutte uguali: esiste la bedrolite – proveniente dall’Olanda e l’aurora, prodotto invece in Canada, che contiene poco THC e molto CBD, usato appunto anche in veterinaria. Abbiamo pazienti che non rispondono allo stesso tipo di cannabis: al di là delle percentuali di thc e cbd, che hanno un’importanza rilevante, in realtà stiamo vedendo che anche tutte le altre sostanze sono fondamentali e modificano l’azione della pianta. Lo stesso sarà per gli animali, anche se ovviamente i dosaggi cambiano molto dal dosaggio umano.
Ciò detto, per dare una vaga idea della vastità e complessità di questo tema, in veterinaria viene usata la pet-cannabis, negli Stati Uniti per esempio, per tantissime patologie, non solo nel dolore. Risulta molto efficace nelle epilessie, ma anche nella cura di depressione, ansia e perfino aggressività.
Ho notizia che vengono trattati con il CBD (ovvero con un tipo di cannabis con percentuale alta di CBD) anche i cavalli e i risultati sono incoraggianti. Altra cosa da ricordare: la cannabis deve essere trattata, e quindi va somministrata nel giusto dosaggio, per bocca, in olio.
Nella vostra esperienza vi troverete purtroppo a pronunciare la fatidica frase “non c’è più niente che la medicina possa fare”. Quanto conta in questi casi aiutare il paziente ad affrontare questa fase così delicata con le migliori condizioni psicologiche possibili? Le è mai capitato che un animale domestico abbia effettivamente aiutato questo percorso di fine vita?
Sì, molte volte, potrei citare tanti esempi e aneddoti, anche attingendo dalla mia esperienza personale. Quello che posso dire è che la vicinanza di un animale allevia sempre tutti i sintomi e riesce a donarci, anche nei momenti più difficili, un po’ di serenità fondamentale per poter migliorare lo stato psicologico, anche di un paziente che ha intrapreso, purtroppo, l’ultimo tratto del suo percorso.
Nella foto che lei ha scelto per questa intervista, è ritratto insieme a tre cani, uno di loro rappresenta un affetto particolare per lei, giusto?
Arturo, il Border Collie che gioca insieme a due amici allora adottati dall’aeroclub di Pisa. È stato il mio compagno di vita e quando dico compagno di vita lo affermo in tutti i sensi… Arturo ha vissuto con me 24ore su 24: veniva in ospedale con me, mi accompagnava a fare le visite, in auto, nei miei viaggi, in barca in vacanza, perfino ai congressi… mi ha difeso da un’aggressione ed ha messo in fuga un ladro che mi aveva forzato l’auto.
Il nostro è stato un rapporto molto difficile. Quando lo presi in Italia c’erano soltanto 54 Border Collie e io ignorantemente pensavo di prendere un cane, un cane? … solo chi conosce o possiede un Border mi può capire… mi sono ritrovato accanto un essere testardo, piccoso, intelligente, geniale, e permaloso che ha fatto di me il suo amico (forse perché portavo il freesby e la pallina da tennis). Ci siamo amati, rispettati e odiati per 14 anni e quando se n’è andato, non è stato possibile colmare il vuoto che ha lasciato.
La mia attuale attività professionale non mi consente di prendere un altro Border ,… ma solo per il momento.