Come salvare il Derby? Basta copiare gli inglesi
Caro Direttore, si parla in continuazione di Derby, quello italiano soprattutto. Della sua collocazione, della distanza scesa a 2200 metri. Su Trotto&Turf, giornale tecnico rimasto unico a chiarire i concetti, ho letto proprio nei giorni scorsi l´intervento accorato di Mario Berardelli.
Mario è un vecchio compagno di avventure, anche nel senso anagrafico, poiché ormai le primavere sono tante e la passione che ci accomuna per il purosangue si è sedimentata dalla notte dei tempi… E mi riesce difficile pensare che proprio lui cada nell´errore di molti: dare credito ai francesi, arrivando a dire che hanno fatto bene a cancellare il Grand Prix de Paris com´era e a ridurre il Prix du Jockey Club, il loro Derby (per carità evitiamo ogni inglesismo con i cugini altrimenti si inalberano…), a una corsa piatta e senza particolare significato. Allora è bene chiarire subito che il predominio europeo rimane saldamente in pugno ai britannici. I loro blitz a Longchamp fanno male e lasciano il segno, mentre i francesi quasi mai si avventurano oltre Manica, dove rimediano spesso brucianti sconfitte. Questo è dovuto - e mi piacerebbe che qualcuno finalmente se ne rendesse conto - al fatto che gli inglesi hanno cambiato pochissimo del loro iter classico, che tutto è rimasto quasi identico al passato, che loro non si sognano né oggi e né tra cent´anni (altro che evoluzione naturale) di ridurre la distanza del Derby a 2200 metri, perché il cammino di tutto il galoppo passa dalle Ghinee, dal Nastro Azzuro di Epsom e dal St. Leger, oggi come ieri e sicuramente domani.
La loro forza risiede nel credere fermamente in una programmazione che non cede a tentazioni deleterie, che non guarda a ciò che avviene negli altri Paesi, ma che resta saldamente ancorata alla tradizione.
Chi ci dice che se avessimo mantenuto il G.P. di Milano a 3000 metri, le cose sarebbe andate peggio di quanto avviene oggigiorno, quando ormai si è toccato il fondo e più in basso di così non si può scadere?
Forse Mario si allea, in un ideale gioco di scuderia, al cugino Stefano Berardelli, dal quale sembra sia partita la trovata di accorciare a 2200 metri la nostra sfida più bella. Ma in sede di “pattern races” bisogna far presente che una classica non vale per il “rating”, ma per la sua storia e per i significati che essa racchiude.
Bisogna dire che un esame di laurea che ha visto sfrecciare sul traguardo delle Capannelle campioni come Ortello, Nearco, Tenerani e Botticelli (mi fermo qui sennò ai francesi prende un travaso di bile…) deve assolutamente mantenere a vita lo status di gruppo 1. Così come il Premio Parioli e il Premio Regina Elena.
Quello che occorre non sono invenzioni o ricerca del nuovo ad ogni costo. Anzi lasciamo tutto com´è, cercando di rimediare se occorre alle sviste del passato. Quello che occorre sono monete sonanti, dotazioni da favola, e qui torno al discorso degli sponsor, a un´attivazione diversa dei nostri manager.
E che di ippica si parli con spazi più ampi sugli organi di stampa. Gazzetta dello Sport e Corriere dello Sport, per citare i due grandi quotidiani sportivi italiani, regalano ogni giorno francobolli di poche righe a purosangue e trottatori, mentre altre discipline, che interessano un numero di appassionati decisamente meno cospicuo, dispongono di pagine intere. In Inghilterra avviene l´esatto contrario.
Grazie per la cortese ospitalità
ANTONIO LUPO






















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