Auguri a Giulio Andreotti, ippico di lungo corso
GIULIO ANDREOTTI è nato a Roma il 14 gennaio 1919. Cavallo2000 vuole unirsi ai festeggiamenti per il 90esimo compleanno del grande statista, riproponendo ai lettori il capitolo di uno dei suoi libri "Visti da vicino" (1983) in cui il Senatore raccontò in prima persona la sua passione per il mondo dell'ippica.
SIA IL TROTTO CHE IL GALOPPO (e a Merano l’estate le corse a ostacoli) hanno sempre avuto su di me una singolare attrazione. E se non è del tutto priva di fondamento la convinzione che negli ippodromi si aggirino anche persone non proprio a ventiquattro carati, è pur vero che fuori degli ippodromi la caratura dell’oro umano non è molto differente
E’ una piccola passione che, accanto a quella per il calcio, coltivo da giovane e non ho affatto intenzione di abbandonare.
Quando ero ragazzo il trotto romano offriva il vantaggio, rispetto alle Capannelle, della vicinanza: quattro fermate di tram da Porta del Popolo. Più tardi gli impianti si sono trasferiti sulla strada di Ostia e nel vecchio sito sono andati prima i baraccati e poi il Villaggio Olimpico, di cui si disse male ventitré anni fa, ma che ormai è giudicato da tutti una buona realizzazione.
Alle Capannelle, durante il liceo, ci conduceva il commendator Enrico Pichetti, amico di famiglia del mio compagno di scuola e di giuochi Cenzino Mesiano. A bordo della sua automobile (lusso allora molto raro tra i privati) ci sentivamo importanti, mentre al ritorno avveniva ogni volta una piccola commedia. Pichetti non riusciva a capire perché non accettasi l’invito a frequentare la sua prestigiosa sala (e scuola) da ballo in Via del Nazareno. Gli sembrava impossibile che qualcuno non sentisse almeno un poco l’attrazione per il ballo; e motteggiava su un presunto divieto postomi da una fidanzata rigorosissima, che non esisteva. Inultilmente, per incoraggiarmi, mi parlò – anzi, mi fece omaggio di una fotografia dell’evento – di un fatto poco conosciuto del pontificato di Pio X, che, anche se non ancora beatificato, non godeva certamente fama di mondanità. Il successore di Pio IX aveva voluto assistere in Vaticano a una esibizione di danza, la Furlana, molto di moda in Roma attorno al 1910. Il Maestro di Camera, comprensivo del desiderio “veneto” di Papa Sarto ma rigorosamdente legato… alla etichetta nera, aveva conciliato le due cose, facendo vestire da donna per il ruolo di prima ballerina lo stesso Maestro Pichetti, che varcò in tal modo, insieme al suo complesso musicale, il portone di bronzo, in ben altro spirito da quello del travestimento ai giorni nostri, che con i cinema a luce rossa e gli spacci di droga mettono a duro repentaglio anche il carattere sacro dell’Urbe codificato dai Patti Lateranensi.
Questo compromesso tersicoreo mi tornò alla mente dopo molti anni, quando il corteo pontificio, che con grande solennità e compunzione attraversava la navata grande di San Pietro per recarsi a compiere l’officio dell’estremo commiato a un cardinale defunto (mi sembra fosse Aloisi Masella), incrociò un gruppo di giovanette inglesi, che, in avarissima minigonna, baciavano con compunzione lo storico piede della statua del Primo Papa. I cartelli all’ingresso della basilica vietavano infatti severamente l’ingresso alle donne in pantaloni, ma nessun ostacolo veniva indicato per altri abbigliamenti femminili, quali che fossero. Del resto nell’invito a una indimenticabile udienza di Pio XII agli attori cinematografici e teatrali italiani, la raccomandazione di indossare abiti “rigorosamente accollati” fu rispettatissima, ma gli uffici pontifici ebbero molto a rimproverarsi per non aver pensato anche alla copertura almeno delle ginocchia e aree “viciniori”.