Trotto amarcord: i miracoli dei Baldi a Cesena
GIUSTO TRENT'ANNI FA, edizione 1977, il Campionato Europeo di Cesena festeggiava le nozze d’oro. Doveva essere un avvenimento speciale, in tutto degno della ricorrenza, ma una cosa intervenne, alla vigilia, che gettò ombre sulla vicenda: la defezione di Delfo, il grande indigeno del momento, in assoluto uno dei nostri campioni più belli. Non per nulla Delfo aveva trionfato poche settimane prima in America, nell’International Trot: campione del mondo!
Forse proprio l’esaltazione per la transoceanica impresa inebriò a tal punto il proprietario Enrico Tosonotti da fargli pretendere un ingaggio per correre a Cesena, una sorta di garanzia del primo premio o qualcosa di più. Rifiuto sdegnato della Società Cesenate, Delfo resta a casa, “Europeo” amputato, addio festa. Ma siccome c’è un dio che benedice, qualche volta, le faccende ippiche, la pista, con soli 4 cavalli, tirò fuori l’opportuno miracolo, trasformando una corsa che sembrava scontata (imbattibile l’americano-americano Kash Minbar) in un evento pieno di emozioni.
E vinse la cenerentola di turno, The Last Hurrah, che il diabolico Vivaldo Baldi, dopo essersi imposto nella prima manche ed aver quasi fermato il cavallo nella seconda dominata da Kash Minbar, guidò con la sagacia di famiglia. Non per nulla diceva Alessandro Finn: “Contro un Baldi potere correre, no contro due”, riferendosi alle guasconate di Vivaldo e “Cincerina”. A Cesena, nella finale ’77, bastò un solo Baldi: schizzato in testa, Diecione prese bruscamente in mano The Last, e il povero Kash, molto meno “bicicletta”, non poté che scompaginarsi andandogli quasi addosso. Dopo fu una trottata trionfale per The Last Hurrah, mentre da lontano l’avversario sparava un inutile km da 1.12, a quei tempi sbalorditivo.
Così Vivaldo Baldi bissò il successo dell’anno prima (1976), ottenuto proprio con un quasi improvvisato Delfo, che la scuderia aveva tolto a Brighenti per una di quelle ripicche, anche motivate, tanto frequenti nel mondo ippico (ricordate Tornese?). Diecione presentò, a sorpresa, un cavallo-agnello, che vinse facile la prima e tenne a bada Wayne Eden nel match conclusivo. Un pungente Vivaldo, nel dopocorsa, dissertava di dolcezza e buone maniere di cui a suo dire Delfo aveva bisogno, mentre “quello là” (che era Brighenti) usava col cavallo maniere troppo dure, ottenendone in cambio la nota riottosità. Vera o non vera la diagnosi, effettivamente quella sera Delfo sembrò un altro: misteri gloriosi del nostro trotto.
Tornò dunque a trionfare un indigeno, cosa a Cesena sempre gradita: ma nel ’74 c’era stata addirittura – non accadeva da Tornese-Crevalcore – una “bella” tutta indigena, Top Hanover e Sharif di Iesolo. E l’andamento fu pure inconsueto: Top alla corda, attaccato alla morte dal rivale. Belli, quei due cavalli in perfetta pariglia per 1400 metri. Alla fine Sharif mollò e l’altro continuò facile per la gioia di Gerard Kruger. “Che altro dovevo fare?” borbottava Pino Rossi alle scuderie, nel quasi generale assenso. “Col numero peggiore, era l’unica strada, di spunto non avrei mai vinto”.
Tutto agli ultimi 200 rimandarono invece, l’anno dopo, Stock Split e Timothy T, o meglio Giordano Fabbroni e Gian Carlo Baldi. Al comando il più lesto Stock Split, ci fu un rallentamento quasi incredibile, meno di un canter: rammento il mio cronometro (allora lo usavo) sull’1.17 al passaggio. Sì, 1.17 gli 800 metri, non il chilometro. E avanti nel sonno generale fino all’ultima curva. Qui esplosero i fuochi d’artificio: ma mentre Stock Split se ne andava imprendibile (27.8 la frazione, sensazionale), il povero Timothy, dalla meccanica sempre un po’ problematica, sbagliò di brutto. Una rottura che parve quasi una protesta, la gente ci ricamò sopra: “Se Fabbroni non avesse… Se Gian Carlo invece avesse… ” Così per giorni. Ma si sa, con i cavalli il senno di poi non riempie le fosse.