Trotto amarcord: Brighenti e Cesena, strano amore
CON QUELLA DENOMINAZIONE inizialmente sontuosa ma fattasi nel tempo sempre più stretta, il Campionato Europeo di trotto a Cesena fin dalle origini ha esercitato un fascino particolare. Quella sua preziosa formula (in seguito imitata anche da altri) del “vincere due prove su tre” sembrava fatta apposta per portare al massimo tensione ed entusiasmo, specialmente se accadeva, come spesso accadeva, che si arrivasse alla conclusiva “bella”, attorno a mezzanotte, con due soli cavalli, due grandi campioni in genere, a sfidarsi in singolar tenzone. L’inimmaginabile silenzio dell’intero ippodromo, che accompagnava fasi preparatorie e (un po’ meno) gara dei due cavalli in pista, si scioglieva alla fine in ovazioni sfrenate, quasi un urlo liberatorio dopo l’emozione soffocante dell’attesa.
Il presidente della Società Cesenate Riccardo Grassi, autentico re del Savio (lui repubblicano storico e focoso), viveva negli Anni Cinquanta e Sessanta il “suo” Campionato come un accigliato regista, dissimulando dietro il faccione da romagnolo doc una trepidazione da ragazzino alla prima Comunione. Burbero per tutta la sera, subito dopo la “bella” lasciava partire qualche espressione gioiosa, senza allargarsi troppo, ma quel tanto da buttar fuori tutta la gioia dell’appassionato di razza.
“Queste cose succedono solo a Cesena…”, e girava lo sguardo dalle tribune gremite al tondino premiazione, dove crocchi enormi di dirigenti, tifosi, infiltrati, scollate fanciulle, autorità politiche attorniavano il cavallo vittorioso. Lui consegnava trofei e stringeva mani. “Solo a Cesena” ripeteva, mentendo e sapendo di mentire, ma la menzogna in quel momento ci stava tutta.
A premiazione ultimata, e mentre l’ippodromo si andava lentamente svuotando, parlava poi delle prime edizioni dell’Europeo, un trotto veramente d’altri tempi visto dall’oggi, quando prestigiosi signori si mischiavano nel parterre con appassionati agricoltori, piccoli proprietari e gente comune, uniti tutti dalla “presa” dello spettacolo. Democrazia romagnola del trotto. Interrompeva la rievocazione solo per chiedere ai contabili il volume delle scommesse, quanto il tot quanto gli allibratori, e lì soddisfatto del tutto non lo era mai, anche quando le cifre dicevano bene. Avanti, sempre più avanti, incontentabile. Grassi era anche questo.
Sergio Brighenti, rammento, voleva fare il duro, e quante volte in un dopocorsa che sarebbe dovuto essere da esaltazione (con Tornese soprattutto, che vinse quattro volte l’Europeo) lo sentii dire: “Una corsa come tutte le altre, in fondo. Ma cosa inventate che i cavalli sentono di più la sfida a due, il match finale e balle del genere. Il cavallo non capisce niente, e questa corsa è una corsa e basta”.
Così parlava il “pilota”, così forse gli imponeva il suo personale copione: ma poi da come “pilotava” – più energico, spietato, trascinatore che mai – si capiva che anche lui mentiva sapendo di mentire, e quella non era una gara qualunque. Dopo il successo con Song and Dance Man, nell’82, già molto malato, nel semibuio delle scuderie lo vidi tutto solo, appoggiato a un muro, sfinito. Parlava a fatica, una smorfia di sofferenza su quella faccia così nera e così unica. Non cambiò versione: “Una corsa come le altre” borbottava. Forse pensava ad altro, a un’altra corsa, che forse non è come tutte le altre.