Il potere del cane
Un pianoforte a coda sulla battigia, lambito dal mare. Nessuna spettatrice che abbia visto "Lezioni di piano" può dimenticare quella scena, divenuta il biglietto da visita di una grande regista, l'australiana Jane Campion. Che all'ultimo festival del cinema di Venezia dello scorso settembre guadagna il Premio speciale alla giuria, con un western intitolato "Il potere del cane". Titolo che non allude al cane di una pistola, ma a un versetto della Bibbia. Girato in Nuova Zelanda, ma ambientato nel Montana del 1925, nel momento in cui la modernità comincia a modificare la rude tradizione dei mandriani, il film racconta dei fratelli Burbank, proprietari di pascoli e bovini, che ormai adulti dormono ancora nella stessa stanza: due metà - assai differenti l'una dall'altra - di una mela. Phil non si toglie mai di dosso i vestiti del ranchero, sporchi e puzzolenti. Vive nel mito di Bronco Henry, un cow boy ormai scomparso che lui considera il suo maestro di vita. Suo fratello George, al contrario, si lava spesso, veste bene, ha comperato una delle prime automobili. E decide di sposare una vedova, con un figlio ormai sedicenne Peter, a cui vuole un bene sincero. Una scelta che Phil considera un tradimento e che lo induce a perseguitare la cognata Rose e a tentare di "raddrizzare" il ragazzo, a suo dire troppo gentile ed effemminato, imponendogli la dura disciplina del cow boy.
Il virilismo di Phil - una maschera difensiva e assieme offensiva - trova la sua massima espressione nel modo in cui - da padrone - maltratta cavalli e bovini: irritato per una delle tante scaramucce con i componenti della casa, picchia violentemente e senza ragione la sua giumenta preferita. Ha un gusto sadico nel castrare a mani nude i vitelli destinati a diventare buoi. E il suo unico passatempo consiste nel fabbricare una corda, intrecciando strettamente del pellame che lui stesso ha conciato.
La sua vocazione persecutoria, che induce Rose, da sempre astemia, a ubriacarsi di nascosto, non viene contrastata da George, che è spesso lontano, e che forse non ha la forza di affrontare il fratello, cui è molto legato. I due sono cresciuti lontano dai genitori, che vengono a trovarli raramente e che vengono chiamati "il vecchio signore" e "la vecchia signora". Pur amando Rose, George preferisce dunque " non accorgersi" di quel che accade. Ma - non diremo certo come - la situazione evolve in maniera del tutto inaspettata, grazie alle scelte del giovane Peter, studente in medicina, chirurgo in erba, apparentemente remissivo ma anche lui connotato da una fredda reattività, che scopriamo quando - per fare pratica anatomica - seziona un coniglio, che aveva salvato nel deserto.
Nel film di Jane Campion la fanno da padrone i paesaggi della natura e quelli della psiche, che vengono indagati, e approfonditi, con passo lento ma mai noioso. Non è certo singolare che sia una donna a percorrere la strada del ripensamento sul ruolo del machismo. Ma occorre dire che lo ha fatto - e ne parleremo - anche il novantenne Clint Eastwood con il suo ultimo film "Cry Macho" (un titolo che è una vera contraddizione in termini: il macho piange). Tornando al film della Campion, occorre notare che gli animali, pur essendo tanto contigui alla vita degli uomini, essendo la loro fonte di reddito, il loro mezzo per spostarsi, e dunque un fondamento della loro cultura, appartengono comunque a un mondo altro: appena uccisi possono offrire "un buon fegato fresco da arrostire sulla brace", possono diventare palestra ginnica per le gesta di un improvvisato cavaliere. Ma sono, e occorre ribadirlo, "altro". Anche se è proprio da quel mondo altro che giungerà il mezzo per ridisegnare l'architettura della famiglia Burbank.
Il film è tratto da un romanzo dello scrittore statunitense Thomas Savage uscito con lo stesso titolo nel 1967. Ma Jane Campion lo ha fatto suo con un adattamento personale e non meramente illustrativo.
Una curiosità: nei panni di Phil Burbank troviamo il sempre bravissimo Benedict Cumberbacht, che sembra nato in sella. Ma a cavallo lo avevamo già visto nel film di Stever Spielberg "War Horse" nei panni di un ufficiale inglese che nella prima guerra mondiale conduce una carica a cavallo. E infatti, a ben guardare, Phil non monta come un cow boy, ma con il tallone basso della classica monta inglese...