Auguri a Maslogarth, cavallo-mascotte di San Siro
PICCOLA O GRANDE, l’Ippica è una sola: mercoledì 11 marzo Maslogarth compie 25 anni e ci dà l’occasione per ripercorrere il sentiero di un grande passato Recita la filastrocca: “Tre anni una siepe, tre siepi un cane, tre cani un cavallo, tre cavalli un uomo.” Un cavallo di 25 anni è come un uomo di 75. L’11 marzo li compirà, essendo nato nel 1984, Maslogarth, maschio baio da Hogarth e Maslovskaya, allevato, nel Parco Alta Valdera, dall’Allevamento de “I Mandorli”, di Bruno Bardi. Corse da 2 a 11 anni: oltre 70 corse, vincendo tra 1500 e 2000 metri, a San Siro, a Varese, a Torino e a Grosseto, dove un anno andò per… le ferie estive. L’hanno montato fantini fortissimi, ma anche giovani allievi alle prime armi e Cavalieri Dilettanti. Fu un vero cavallo-scuola per molti giovani apprendisti. Nel ’95 Maslogarth smise di correre sulle piste, ma rimase a vivere dentro l’ippodromo, dove la Società Milanese Corse Cavalli predispose per lui un box e una selleria a titolo completamente gratuito.
La sua casa si affaccia sulla pista de La Maura, una delle due piste di allenamento di Milano, l’altra è Trenno. Ogni giorno il cavallo, dopo la strigliatina del mattino, esce per fare ginnastica, passo e trotto, e tanti giovani apprendisti sulla su! a groppa hanno cominciato proprio con lui a prendere confidenza con un purosangue. Svolge il suo lavoro con pazienza e umiltà, invecchia bene e, si può dire, non fa invecchiare chi l’accudisce, Angelo Garbati, classe 1928, maremmano di Manciano, l’uomo che domò Ribot, di cui ci racconta un particolare, credo, inedito. “Sì – dice – era l’autunno del ’53. Mi fu affidato l’incarico di domare il futuro campione. La doma, allora, si faceva nel tondino della tenuta di Dormello, sotto lo sguardo di donna Lydia Tesio, moglie di Federico,che apriva la mattina presto la finestra della sua camera nella villa, la cuffia ricamata della notte ancora in testa, per salutarci con il suo “Buongiorno figliuoli!”.
UN GIORNO lo fece, mentre Ribot era proprio lì sotto. Il rumore dell’imposta aperta inquietò il puledro, scartò di lato, prese il via, frenò brusco davanti alla siepe che limitava il tondino. Ebbi paura, puntai forte i piedi sulle staffe, feci di tutto per non cascare. L’energia scaricata da Ribot fu tantissima: le staffe, che allora erano di ferro e rame, si piegarono sotto la pressione delle mie gambe, che scaricavano tutta l’energia della frenata.” “Non lo montai, però, mai in allenamento. Lo poteva montare, a parte Enrico Camici in corsa, solo uno, soprannominato “Tizzo Nero”, un romano dalla pelle scura. Poverino, fece una fine tragica, cadendo alla Maura: lui aveva fegato, montava sempre i più difficili in lavoro (e Ribot lo era). Lo voglio ricordare: l’ippica ha avuto i suoi eroi silenziosi e li ha ancora oggi.”
LA VOCE È CALMA, lo sguardo chiaro e sereno sotto le folte sopracciglia, i ricordi precisi, non più fluidi come un tempo, ma flash improvvisi, abbaglianti come lame al sole, che ti portano a contatto con la storia. Da brividi. “Dormello fu l’approdo definitivo a Milano, nel ’51, ma qui giunsi ragazzino di 10 anni nel ’38. Non volevo studiare, non volevo fare altri lavori, amavo i cavalli. D’accordo con i miei, partii in treno per Milano, con Otello Menichetti, che mi accolse come un figlio nelle sue scuderie, che erano quelle del Barone Giulio Berlingieri, famose per i cavalli da ostacoli, ma importanti anche in piano. Nel ’43 cominciai a montare in corsa, come allievo, fino al ’46. Non terminai il periodo di apprendistato. Non ricordo perché, ma mi venne nostalgia delle mie parti. Scappai a Grosseto, dove Ottorino Luschi detto il Cispa, ex grande fantino del Palio di Siena, mi prese con sé. Durò poco. Ottorino, un po’ ombroso di carattere, mi licenziò all’improvviso, senza motivo. Tornai nel ‘47 a Milano. Non ero più allievo e non avevo ancora la patente di fantino, che non avrei potuto nemmeno pagarmi. Un uomo mi aiutò. L’uomo che avevo abbandonato l’anno prima. Con grande signorilità, dimenticando il torto subito e mettendo le mani nella sua tasca, mi diede la possibilità di ricominciare. Un gesto che ricordo ancora oggi con grande affetto e riconoscenza: grazie Otello Menichetti, e vorrei che il mio grazie, approfittando di Internet, arrivasse a sua figlia Walkiria.”
MA, ALL’EPOCA, DA OTELLO MENICHETTI non c’era più posto. Garbati andò a lavorare da Giannino Miliani, prima di approdare nel ’51 nelle scuderie della Razza Dormello Olgiata. Vi rimase 18 anni, da Toulouse Lautrec a Hogarth, da Federico Tesio (“che allenamenti e che lavori: un giorno mi riprese per non aver chiesto tutto a Tommaso Guidi …”) a Vittorio Ugo Penco, un maestro di vita e di tecnica, passando attraverso cavalli come Ribot, Theodorica, l’imbattuto Braque (“i suoi tendini prima e la sua salute poi lo tradirono, ma era, forse, più forte di Ribot…”), su su, fino appunto al morello Hogarth, l’ultimo da lui domato e montato. “A Hogarth ho voluto un bene speciale. Non a caso Maslogarth è un suo figlio. Venne via alle Aste per un tozzo di pane, perché affetto dalla sindrome del “ballo dell’orso” e per via di un incidente al posteriore patito da puledrino. Non me ne curai, per me contava il sangue del papà e anche la mamma dava garanzie. Il tempo guarì tutto e guardalo lì, mangia ancora con appetito e si allena: come un uomo difficilmente farebbe alla sua età.”
Con Maslogarth, Garbati ha vinto la sua ultima corsa da fantino, era il 1988, in estate a Varese. Continua a montarlo e ad allenarsi con lui, ogni mattina. La sveglia è alle otto. “Entro nel box di Maslogarth e ne guardo l’espressione, gli occhi, poi il movimento, mentre lo porto alla mangiatoia. Da lì si capisce se la notte è passata bene, se ci sono problemi. Piccola pulizia, rimessa a nuovo della lettiera, preparazione all’uscita. Si va al tondino: 20 minuti di passo, poi due giri di trotto. Con la bella stagione si va anche a Trenno, al tondino che fu di Federico Tesio. In totale una -due ore di uscita. Alle volte vorrebbe ancora prendere il galoppo. Lo trattengo, non deve esagerare. Al rientro lo lavo e lo asciugo, doccia d’estate, più cauto l’inverno.”
Non può mancare lo shampoo. Di marca, naturalmente. Il bel mantello baio oscuro, come quello del padre, è lucido, impreziosito da una coda senza un pelo bianco, lunga fino ad accarezzare gli zoccoli. E’ un po’ impaziente dopo il rientro dal lavoro mattutino. E’ l’ora del primo pasto: una misura e mezza di biada, una di mangime (una misura è circa un chilo e 200 grammi). A sera aumenta un po’. Ma Maslogarth è un cavallo unico. Tutti i suoi movimenti, specie quelli fatti per ubbidire agli inviti del Signor Angelo, sono premiati con grosse, golosissime, carote. Ecco, questo è un piccolo pezzo della vita di San Siro. Vi si riallaccia, prepotente, ma senza schiacciarlo sotto il suo peso, un grande pezzo della storia ippica italiana e dei suoi uomini: uno è necessario all’altro, insieme si alimentano, indissolubilmente.
Auguri Maslogarth, auguri Ippica Italiana.

Maslogarth nel giorno del suo venticinquesimo compleanno insiene ad Angelo Garbati