Un rottame e due cavalli per respirare a Manhattan
VIDEO CAMERA e via in rete. Ora tutto il mondo sa chi è Jeremy Dean, cosa ha fatto e perché lo ha fatto. Certo, giusto il tempo di visionare le immagini, magari di rifletterci un po’ su, e poi Jeremy sparirà dalla memoria dell’umanità. In fondo, non è mica la caduta del Muro di Berlino. E neanche Piazza Tien An Men. Insomma, è fatale che, dopo un po’, la faccia e le parole di Jeremy vengano risucchiate e disperse nella fluidità del villaggio globale, che ha trasformato il pianeta in un unico luogo uguale a se stesso ovunque. Però la ragione per cui ha fatto quello che ha fatto non evapora. Perché quella ragione è già solida convinzione nella coscienza di milioni di persone.
Dunque, le cose stanno così. Il giovanotto ha comprato per due lire un vecchio fuoristrada da rottamare. L’ha smontato completamente pezzo a pezzo, ha buttato via tutto e si è tenuto solo la scocca nuda e cruda. Poi, dopo averla appena riadattata per l’uso che aveva in mente di farne, ci ha piazzato davanti due cavalli da tiro e ha detto: questa è la mia automobile.
Intendiamoci: in sé, niente di che. Una stravaganza fra le tante che si possono vedere in giro per New York. E però, una stravaganza che vuole dirci qualcosa di serio, di importante.
Jeremy vive a Manhattan, dove l’aria, come in tutte le grandi metropoli del mondo, non è, si sa, un granché. Certo, la Grande Mela non soffoca sotto la permanente cappa color piombo che da lontano lascia intravedere si e no Città del Messico. E non è neanche intonacata di fuliggine, come tante zone industriali cinesi, dove gli eredi del Grande Timoniere, abbandonata la mai praticata lotta di classe se non sotto forma di epurazioni e condanne a morte, hanno trovato, potenza dell’ossimoro, la chimerica ‘terza via’ fra comunismo e capitalismo: la via capitalistica al comunismo e viceversa. Tanto, invertendo l’ordine dei fattori, il prodotto non cambia: l’avvelenamento dell’aria elevato a Primo Motore Immobile del prodotto interno lordo.
INSOMMA, a Manhattan non si gira ancora con le maschere antigas, ma questo non è un buon motivo per non vedere come sta combinato il pianeta, dove prima o poi, di questo passo, rischiamo tutti di finire asfissiati dallo smog. Allora Jeremy s’è posto il problema non di come salvare il mondo, perché è venuto a sapere che la cura del delirio di onnipotenza non rientra nella riforma sanitaria di Obama (il quale, per inciso, è convinto che questo tipo di malattia sia pernicioso quanto e più dell’obesità, e che curarlo su vasta scala sia una prioritaria questione di sicurezza nazionale, visto quello che hanno combinato prima il suo predecessore in Iraq e poi quei deficienti dell’alta finanza, ai quali non andrebbe affidato neanche un banchetto di erba e frutta al mercatino rionale, altro che banca d’affari. Però preferisce, per ovvie ragioni, non dirlo. Almeno non in questi termini.), ma di come si possa mettere in piedi una rappresentazione, poco più che simbolica, con cui gridare al mondo qualcosa tipo ‘non voglio finire con i polmoni accartocciati come due prugne secche’. E Jeremy deve aver pensato pure che se questo grido si moltiplicasse per mille, per un milione, per un miliardo di volte, forse i timpani di chi apre e chiude i rubinetti del petrolio a compiacimento dei propri profitti comincerebbero a vibrare fino a far male. Allora può darsi che questi galant’uomini capirebbero che esiste qualcosa di più doloroso della caduta in borsa del loro adorato barile. L’otite, per esempio.
Certo, Jeremy corre parecchio con la fantasia. Anzi, diciamola tutta: è decisamente un illuso con biglietto di sola andata. Solo un illuso può pensare che i potenti della terra, quelli veri, quelli che movimentano e accumulano ricchezza con l’avidità forsennata dei morsi a strappo del conte Ugolino, quelli che si riuniscono in lobby più o meno occulte e dettano l’agenda del potere polito, rinuncino al loro dominio imperiale solo perché un certo numero X di persone ogni giorno se ne va all’altro mondo con i polmoni lastricati di catrame. E un cert’altro numero X se ne va schiantato dalla fatica di un lavoro che serve solo a mantenere alto il valore del loro oro nero. E un cert’altro numero X se va per fame e per sete, perché le loro trivelle non perforano solo terra ma anche l’elementare bisogno di mangiare e bere. Sono solo numeri. E non valgono nemmeno uno zero virgola zero di quelli che scrivono nei loro bilanci. E questa non è un'altra storia.
SOLO UN ILLUSO, o un perdigiorno, può permettersi il lusso andare a spasso per New York convinto di essere la prova vivente della possibilità di allentare la convulsione del vivere metropolitano fino a ridurla ad andatura di cavallo. Solo un illuso può essere convinto che possibile recuperare uno stare al mondo a misura d’uomo mettendosi a fianco l’animale che di questa misura ne è l’artefice da sempre. A Jeremy vogliamo dire una cosa: fregatene di chi ti considera un illuso. Lo fa per esorcismo. Perché sa che non si tratta di illusione, ma di possibilità. E la possibilità è pericolosa. Perché è quella particolare promessa di cambiamento che sconvolge sempre che è convinto di stare con i piedi per terra. Perché la possibilità del cambiamento fa tremare la terra sotto i piedi a chi crede che il mondo in cui vive sia l’unico mondo possibile.























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