Settembre, il mese d'oro di Merano e tanti ricordi
Settembre è il mese d'oro di Merano, la cattedrale dell'ostacolismo, quella splendida distesa di verde negli occhi quando entri a Maia. Il dedalo dove i siepisti e i chaser saltano nel verde, di fronte alle tribune sempre gremite. E' un rito che si rinnova, in questo posto magico che vede la sua apoteosi nell'ultimo week-end di settembre, al sabato il Gran Premio delle Nazioni, la maratona del cross-country, e il vertice tecnico per i siepisti, la Gran Corsa Siepi di Merano. Poi, alla domenica, ecco la Corsa per eccellenza, quella più ricca d'anima, come l'ha definita Marco Vizzardelli che di questa disciplina dell'ippica è il cantore. Il Gran Premio Merano, quei 5000 mila metri con i suoi 24 impegnativi ostacoli.
Il settembre d'oro di Maia, nella splendida perla dell'Alto Adige, in questa cittadina elegante dove si respira il bello, ci riconduce anche all'album dei ricordi. Sono cartoline in bianco e nero dove rivediamo i volti dei grandi fantini che hanno scritto stagioni meravigliose a Maia. Già, la nostra grande tradizione ippico-equestre, fatta di uomini che avevano frequentato “l’università” nelle serate con i loro proprietari, da Berlingeri a Neni da Zara, da Mario Incisa ai Mantovani, da Ettore Tagliabue a Mariconti, Caccia e Giovanni Borghi. Nobili e imprenditori che hanno fatto ippica nel senso migliore investendo denari propri inseguendo un sogno sportivo, che spesso aveva come obiettivo quel '5000' in steeple nella stagione dei grappoli e delle mele. Giovani fantini che imparavano il mestiere alla scuola di scuderie organizzate e che nei colloqui della sera, a cena e in albergo, prendevano da quei 'capitani d'industria' ed esponenti di un'aristocrazia colta e illuminata anche i consigli per una crescita alla scuola della vita.
Così ecco che negli anni Cinquanta la stagione ippica meranese è il palcoscenico dove recitano primattori come Armando Carangio e Carlo Ferrari, il primo vinse il Merano nel 1954 in sella ad un cavallo di Ettore Tagliabue, Kifepsscht, mentre Carlo, fantino romano che aveva vinto il Derby con un cavallo della Dormello Olgiata, sta per interrompere la carriera per problemi di peso quando il proprietario della scuderia Mantova lo convince a passare in ostacoli. Così diventerà il fantino di un cavallo mitologico, Spegasso, re del Merano nel 1958. Tre nomi per gli anni Sessanta, dal cassetto dei ricordi ecco Nello Coccia, Alberto Baseggio e Sandro Mattei. Il primo porta al trionfo nel Gran Premio Dragon Vert, settembre 1963. Fantino completo, una sicurezza per tutte le corse, a Maia vinse anche una Gran Siepi. Nello Coccia era uno stile di monta ed una determinazione e uan capacità di offrire in ogni gara l'interpretazione ottimale per il cavallo che montava. Alberto Baseggio è passato alla storia di quel Merano 1968. Non si sa ancora come riuscì a rimanere in sella all'irruento Pigalle, l'unico cavallo di Dormello a trionfare nella corsa più prestigiosa dell'ostacolismo italiano. E Sandrino Mattei deve molto della sua fama a quel cavallo incredibile che fu Cogne. A sedici anni ancora in lizza nel Gran Premio dopo aver vinto due edizioni, quella del 1967 e nel 1969, con un indimenticabile guizzo a fil di palo.
Gli anni Settanta furono formidabili. Le estati di Merano erano scanditi da fantastici duelli in pista tra i nostri fantini e poi da cene in montagne dove si era amici. Facevano gruppo Pacifici, Baseggio e Oppo. Grandi storie per la presenza anche di ostacolisti straordinari. Chivas Regal che per la pisana Vallelunga trionfò nel Merano del 1974. C'era Pino Morazzoni in sella. Ferdinando Saggiomo divenne il fantino invincibile per due edizioni, facendo andare di là dal verticale, sul rettilineo opposto alle tribune, quel brutto anatroccolo di Trapezio. Era caduto nel 1974, il piccolo ostacolista, ma poi a cinque anni aveva imparato la lezione e si era imposto, bissando la vittoria nell'anno successivo, stagione 1976.
Sfogliamo ancora qualche pagine per il capolavoro di Gianantonio Colleo, forse il fantino italiano di maggior classe visto a Merano - mano delicata e visione tattica sopraffina -. Era il 1977 e Colleo rubò il tempo a tutti e vestito di quel raso viola e rosa di Red Chief, saltatore coraggioso con un pizzico di classe, dipinse il suo cammeo nel ricco e storico 5000 in steeple. Anche una femmina indimenticabile nel libro di Maia, quella Ryan's Daughter che vinse in un testa a testa emozionante l'edizione del 1979, Pietro Santoni, fantino gentiluomo vestito di quella bella giubba rossa e dopo con una carriera da apprezzato chef, in linea con le qualità umane di una persona affabile e genuina.
Ogni tanto una vittoria italiana nel Gran Premio produce il boato della tribuna grande. Come un acuto del tenore all'Opera. Ecco Miocamen che vince nel 1990, Orlando Pacifici che al rientro viene portato in trionfo, lui quasi incredulo, emozionato e commosso di quel tifo, di quel calore della gente venuta da tante parti d'Italia per quel cavallino italiano che è riuscito a realizzare il sogno, vincere il Merano, gli stranieri battuti. Miocamen vinse anche nel 1992, in sella c'era un'altra apprezzata frusta di Maia, un fantino come Maurizio Moretti che faceva della precisione il suo tratto d'interpretazione e regalò la sua pennellata magica anche ad Ocean, portandolo al proscenio nel Merano 1991.
Gloria anche per Pietro Cadeddu, il volo di Prince Pamir per la Razza di Vulci in quel tempo d'oro della corsa del mese dei grappoli e delle mele. Cavalli e fantini che hanno raccontato un po' del nostro tempo migliore. Mani e braccia, occhi e polmoni per portare di là da un verticale un purosangue che si fidava di loro. Soprattutto. Perchè l'ostacolismo con la sua affascinante emozione è questo. In quel posto magico. A settembre, nella conca di Maia.