Frusta sì, frusta no. Chiediamolo ai cavalli
BENESSERE DEL CAVALLO. Pare che le prime reazioni all’ordinanza ministeriale voluta dal sottosegretario al Welfare Francesca Martini non siano poi così malaccio. Liberare il cavallo dal martirio di morsi degni di Hannibal Lecter; non sottoporlo più a scariche di frustate come a fargli sputare l’anima indemoniata prima di mondarsi dai peccati del mondo; non sfondargli più i fianchi a colpi di speroni ficcati nella carne viva come le frecce di San Sebastiano; non imbottirlo di sostanze che manderebbero in delirio mistico anche il più coriaceo dei miscredenti; predisporgli un tracciato nel quale non sia obbligatorio spezzarsi le gambe, sembra che tutto questo non rappresenti una minaccia di decadenza per quelle manifestazioni che ricorrono al cavallo per celebrare le ataviche glorie delle culture e delle tradizioni locali.
A rassicurarci in questo senso interviene, per esempio, Maurizio Cenni, che di Siena è il sindaco. Il quale si compiace dal fatto che l’ordinanza ha adottato, specie in materia di tutela dei cavalli, molte delle regole che il Palio della sua città si è dato nel corso degli ultimi anni. Anche Tiziano Tagliani, primo cittadino a Ferrara, saluta ben volentieri le nuove disposizioni, anche perché è un bel pezzo che dalle sue parti il Palio non si corre più con cavalli purosangue, ma solo con mezzosangue. Non a caso, è dal 2006 che fila tutto liscio come l’olio.
Un pochino, ma non più di tanto, cincischia Giorgio Galvagno, sindaco di Asti, che si inerpica in un distinguo molto sofisticato, con delle implicazioni anche di carattere filosofico. Dice: attenzione, se il frustino è dannoso per l’animale nulla questio, neanche si discute. Ma se invece fosse soltanto e semplicemente ‘stimolo di sensorialità’? Mica male come busillis. Sotto la spinta dell’acuto interrogativo del nostro don Ferrante astigiano, anche noi saremmo tentati di inoltrarci nei meandri di una pensosità indecisa fra significato e significante per chiederci: frustino, ‘sustantia o accidente’? Ma il dilemma è presto risolto. Basta chiedere al cavallo cosa ne pensa e la risposta è bella e data.
E però fra il consenso che da queste prime battute appare piuttosto ampio, si leva una voce che con il tono categorico del ‘no, io non ci sto’, diluisce, senza riuscirci granché, la propria contrarietà con un giro di parole che suona più o meno così: ‘non capisco, dopo 500 anni, che senso hanno queste regole. Evidentemente c’è gente che non ha nient’altro da fare che pensare a cose che non stanno né in cielo né in terra. Si occupassero di cose più importanti, questi politici, anziché ficcarsi in questioni di cui non capiscono niente. Nessuno più di me ama i cavalli. E io dico che, regole o non regole, il Palio di Siena non cambierà né adesso né mai’. Aceto, al secolo Andrea De Gortes, non ha peli sulla lingua. S’è portato a casa 14 Palii di Siena e questo basta e avanza, secondo lui, per aver titolo a marcare con la matita blu i provvedimenti dell’ordinanza. Nessuno gli nega la liberta di parola, ci mancherebbe altro. Solo che non si è accorto che questa volta la parola è passata ai cavalli. I quali parlano anche a nome dei suoi. Se è vero che sa di cavalli, provi ad ascoltarli direttamente. Loro gli sapranno spiegare quello che non ha ancora capito. Perchè capire non è solo questione di comprendonio. E’ anche un moto dell’anima.