Basta con la tradizione sinonimo di crudeltà
UNA SOCIETA’ si struttura anche sulla base di costumi e tradizioni. Sono parte fondamentale dei meccanismi che regolano il grado di coesione sociale. Costituiscono, cioè, le coordinate di quella che viene definita, spesso in modo un po’ troppo schematico, e per ciò fuorviante, cultura identitaria. Da questo punto di vista, il nostro Paese possiede tratti di originalità non facilmente rintracciabili altrove. Non c’è cantone di terra che non affondi radici nei secoli e nei millenni. Una ricchezza, non c’è dubbio. Però, alle tradizioni, bisogna saper guardare anche con occhio critico, senza nulla togliere al loro valore evocativo e rievocativo. Accade infatti che, qualche volta, le tradizioni si amplifichino in aspetti rituali che stridono con alcune sensibilità oggi rilevanti sul piano sociale e culturale.
E’ noto, per esempio, che in tanta parte del Paese il cavallo sia un elemento significativo nel modo di manifestarsi delle tradizioni. A volte è nella sua figura che si concentra il senso stesso della rappresentazione. Troppo spesso, però, è proprio lui a pagare il prezzo più alto. Sia che si schianti a tutta velocità su una curva troppo stretta, sia che rovini a terra su un fondo stradale non adatto, sia che venga sottoposto a prove proibitive, sia che venga sfiancato di fatica, resta il fatto che l’eventualità della sua morte, certo non voluta ma di sicuro non evitata, pare accettata come la riproposizione più fedele della ancestralità del rito.
E’ accaduto, accade e continuerà ad accadere se non cominciamo a porci il problema di che tradizioni siano quelle che, anche se per un giorno o qualche ora, ci risbattono nella tribalità di riti che incentrano il forte delle emozioni sulla possibilità di veder morire un essere vivente. In questo c’è qualcosa che suona come oggettivamente inaccettabile. Il problema, però, non si cancella con un colpo di spugna. Queste ritualità da martirio annunciato coinvolgono ancora tante persone. E, soprattutto là dove certe tradizioni sono talmente radicate da apparire del tutto indifferenti alla evoluzione dei tempi, il fenomeno investe intere comunità che traggono dal rito l’ancoraggio cui affidare l’immutabilità dei propri caratteri identitari.
Se questo è vero, allora è arrivato il momento di sottoporre a revisione etica certe manifestazioni della memoria collettiva, poco importa se laica o religiosa. Ovviamente non si tratta di sostituire uno schema di giudizio con un altro. Si tratta piuttosto di intraprendere percorsi che da una parte sappiano restituire all’immaginario la libertà di ritualizzare l’appartenenza alla eternità della storia e, dall’altra, recuperare quella semplice verità che racconta di come gli esseri umani possono stare nella storia solo appartenendo al proprio tempo. In fondo è solo questione di sapersi collocare nel mondo in cui si vive. Possibilmente non con la testa voltata all’indietro.























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