Pierre Antoine Aubert: Trattato ragionato di equitazione, secondo i principi della scuola francese
Il testo che offriamo quest’anno ai soci, pubblicato nel 1836, rappresenta uno dei capisaldi dell’equitazione di tradizione francese come già detto nel numero precedente di questo giornale (n. 2 del 2024) con l’articolo che trattava in particolare dell’assetto, e nel n. 4 del 2021, dove si parlava della capacità di sentire e veniva fornita anche una biografia dell’autore. Ricordo inoltre che di Aubert abbiamo già pubblicato, nel 2022, il testo “Alcune osservazioni sul sistema del Sig. Baucher per addestrare i cavalli” del 1842, in cui viene dettagliatamente e nettamente criticato il metodo Baucher.
L’importanza e la centralità di P. A. Aubert nell’equitazione di tradizione francese è riconosciuta in particolare nel progetto della ‘Missione francese per la cultura equestre’ sostenuto dalla Federazione Equestre Francese e dal Cadre Noir di Saumur (www.equitation-francaise.fr).
I principi esposti e anche molti dettagli derivano da quanto Aubert aveva appreso dai suoi maestri legati direttamente o indirettamente all’Accademia di Versailles, chiusa definitivamente nel 1830, ma anche da La Guèrinière di cui riporta tutta la parte sulle andature contenuta nella sua opera “Scuola di cavalleria” di 100 anni prima. Oltre ciò Aubert espone tecniche e metodi originali maturati nella propria lunga esperienza di cavaliere, istruttore e direttore di maneggi, come pure nel corso dei viaggi fatti in Europa per studiare dal vivo le scuole esistenti al suo tempo, in particolare in Svizzera, Austria e Italia, delle quali parla nel testo elogiandole ma rivendicando sempre l’originalità della scuola francese.
A questo proposito possiamo rilevare come uno dei temi più importanti del testo sia la condanna delle nuove mode equestri affermatesi nei primi decenni del secolo XIX, nello stesso periodo in cui le vecchie scuole decadevano o sparivano e il centro dell’equitazione di tradizione si spostava nell’ambito militare dove l’equitazione di maneggio riceveva spazi e attenzioni ridotte. Su questo Aubert fornisce numerose informazioni e riferisce fatti e cronache importanti per capire le trasformazioni allora in corso.
Le nuove mode condannate da Aubert consistevano, come ci dice, in un’equitazione semplificata e ignorante, nonché dannosa per il cavallo, di cui vengono forniti numerosi esempi e dettagli, e che a noi ricorda quello che avviene anche oggi in termini di ignoranza, fretta, dominio dell’interesse economico con tutto ciò che questo comporta in termini di maltrattamento del cavallo. Questa situazione era la conseguenza dell’avvicinamento all’equitazione di nuove classi sociali, oltre ai nobili, ridotti sia per numero sia per possibilità economiche. I nuovi arrivati non avevano lo stesso approccio in uso nelle vecchie accademie, in quanto non dedicavano gran parte della propria gioventù alla formazione accademica e cortigiana, oltre che di guerra, come nel caso dei nobili, e quindi potevano dedicare all’equitazione tempi e risorse economiche limitati, cosa che li spingeva a praticare forme semplificate di equitazione come quella proveniente dall’Inghilterra, che Aubert bolla come Anglomania, e a seguire mode finalizzate solo all’apparire in pubblico con conseguenti perdite di conoscenze, danni alla salute del cavallo e decadenza degli allevamenti nazionali a favore dell’importazione dei cavalli purosangue inglesi. Un aspetto particolare di questa polemica è l’insistenza di Aubert sull’abbigliamento dei cavalieri che dovrebbe mantenersi nel solco della tradizione per la quale la tenuta da maneggio era funzionale all’esercizio equestre mentre le nuove mode comportano l’uso di abiti stravaganti e di intralcio fino ad essere pericolosi, per non parlare dell’uso del bastone da passeggio al posto del frustino o bacchetta.
Il testo è strutturato in forma di lezioni per fornire una guida pratica all’istruttore per la formazione di cavalieri principianti ed esperti e presenta in molti capitoli sezioni distinte per gli uni e gli altri. Naturalmente viene trattata con altrettanto peso la teoria equestre in relazione agli esercizi proposti e tutto ciò che attiene al metodo di addestramento del cavallo.
La formazione del cavaliere è trattata con una ricchezza di dettagli che spesso può apparire petulante ed eccessiva (arriva perfino a dare la lista di tutti i numerosi comandi da usare nei diversi esercizi) ma per l’istruttore che conosce le difficoltà del principiante, come pure del cavaliere avanzato che deve apprendere cose nuove o perfezionare quelle che conosce, quei dettagli costituiscono elementi importanti per dare indicazioni concrete ed effettive in tutte le situazioni, anche in quelle più difficili e complicate, laddove spesso si rimanda la soluzione a quando si sarà fatta sufficiente esperienza oppure all’acquisizione del fantomatico tatto equestre.
Oltre ai dettagli, l’autore fornisce anche il percorso da seguire per progredire fino ai livelli più avanzati, grazie alla struttura stessa del testo e alla successione dei capitoli dove vengono dettati gli esercizi insieme alla loro organizzazione e ai tempi per eseguirli. Anche questo è un elemento fondamentale per l’istruttore, senza il quale si rischia di proporre esercizi scollegati tra loro e privi delle necessarie propedeuticità.
Da notare poi l’attenzione che Aubert pone alla comprensibilità che l’istruttore deve saper dare ai suoi insegnamenti, tenendo conto di tutti i fattori in campo (tipo di allievi, tipo di cavalli, strutture e tempi) proponendo soluzioni didattiche originali tra cui i dettagli delle istruzioni da dare in campo sono un esempio, ma anche l’intervento diretto dell’istruttore per dare esempi e per guidare con le proprie mani le membra del cavaliere.
Una curiosità nella successione di esercizi per i principianti è che Aubert comanda, per i primi approcci, esercizi ‘facilitati’, che lui stesso dichiara scorretti, ma che hanno la funzione di permettere al principiante di ottenere in qualche modo andature e figure che sarebbero troppo difficili da eseguire da subito nelle loro forme corrette. Questo approccio è la conseguenza della situazione in cui si trova l’equitazione in quell’epoca, come detto sopra, in cui Aubert doveva far fronte alle esigenze di tempi e disponibilità economiche ridotti, ma anche alla carenza di cavalli di scuola ben addestrati. Le ‘semplificazioni’ proposte da Aubert rappresentano comunque solo uno stratagemma di necessità e sono soltanto temporanee.
Gli elementi fondamentali nella formazione del cavaliere sono lo sviluppo dell’assetto e della capacità di sentire il cavallo; come recita il testo: ”Tutto nella bella posizione, quando si è agli inizi. Tutto nel sentire il tempo delle gambe, per levata e posata, quando si aspira a diventare un Écuyer esperto.” La concezione dell’assetto esposta da Aubert, basata sulla ‘bella posizione’ ripresa dalle regole classiche, è sostanzialmente isodinamica come quando, parlando della partenza al galoppo, dice: “tutte le parti del corpo, …, devono, …, seguire e accompagnare esattamente tutti i movimenti del cavallo”, oppure, parlando dell’assetto: ”La migliore posizione che un uomo possa avere è quella che, armonizzandosi con i movimenti del cavallo, lascia quest'ultimo libero di impiegare la propria forza. È quindi necessario cercare nella conformazione e nei meccanismi dei due individui i mezzi che devono perseguire la massima connessione fra loro, per poi stabilire, in base al risultato di questa ricerca, la posizione del cavaliere.”
L’assetto inoltre è inteso non solo come base della stabilità del cavaliere e della possibilità di dare aiuti corretti, ma come aiuto esso stesso, anzi l’aiuto principale di cui l’allievo si impadronisce progressivamente fino a rendere quasi superflui tutti gli altri aiuti; come dice Aubert ‘tutto si ottiene con l’assetto e niente senza di esso’. Per arrivare a questo livello più avanzato è però necessario unire ad un assetto corretto la capacità di sentire i movimenti del cavallo; questi i due elementi alla base del linguaggio di comunicazione che permette di accedere all’intelligenza (il morale) del cavallo.
Gli esercizi di maneggio descritti, parlando della formazione del cavaliere, vanno anche a comporre man mano la progressione dell’addestramento del cavallo indicando quali sono i momenti appropriati per richiedere gli esercizi stessi, i tempi, le propedeuticità e i casi in cui occorrono soluzioni e passaggi particolari. Uno dei momenti importanti per la formazione del cavallo è quello del lavoro alla corda, montato e non. Qui Aubert propone una pratica nuova per l’equitazione tradizionale in Francia, che è l’uso del fascione con redini fisse, ripreso dalla scuola di Vienna.
Una curiosità tecnica è l’utilizzo del filetto congiuntamente al morso, pratica che Aubert dice sia nata nell’accademia di Versailles, quindi molti decenni prima che si diffondesse in tutta Europa, soprattutto in ambito militare. In questo accoppiamento Aubert sostiene che il filetto vada usato principalmente per chiedere il piego e nel descrivere questo dimostra che lo scopo di quest’ultimo non è tanto estetico, per la bellezza che tale piazzamento dona al cavallo, ma è quello di favorire la successiva curva che dovrà essere affrontata; il cavallo quindi, anche quando procede dritto, deve mantenere una leggera flessione laterale, una pratica che anticipa il piazzamento flesso-dritto di Steinbrecht.
Chiarissima quindi è la consapevolezza che l’addestramento del cavallo consiste di una progressione ginnica di esercizi, legati in una catena di sviluppo che richiede tempi a volte molto lunghi, principio ereditato anche questo dalla tradizione classica e che si scontra con le innovazioni ‘ignoranti’ volte alla semplificazione e al fare in fretta.
Altro tema fondamentale, affrontato per tutto il testo, è l’approccio al cavallo, la relazione da stabilire con lui. Nonostante permanga in Aubert l’idea che le punizioni, indicate come ‘correzioni’, siano necessarie in certe situazioni di resistenza, la sua idea sulla relazione col cavallo può essere rappresentata dalle seguenti affermazioni: “Personalmente, preferisco che i miei cavalli, invece di essere schiavi che aspettano i miei aiuti per obbedire alla mia volontà, la intuiscano attraverso la propria intelligenza; questo è ciò che chiamo agire sul loro morale” e poi: “La grande arte di addestrare bene i cavalli consiste soprattutto nell'agire sul loro morale, ricordando costantemente il precetto di un celebre autore: l'Écuyer deve amare i cavalli e farsi amare da loro. È attraverso carezze e ricompense date a proposito (un po' di erba, di zucchero, di mela, ecc.) che li si porta a fare tutto con piacere, ad avere un buon ricordo e fiducia nell'uomo” e ancora: “[il cavallo] dovrebbe essere considerato come un bambino che deve essere istruito ispirandogli la massima fiducia” e infine “Il miglior sistema per addestrare i cavalli si può riassumere in tre parole: metodo, pazienza e dolcezza.”
Un’ultima osservazione: l’importanza storica di quest’opera si accompagna comunque alla sua attualità, sia per quanto detto sopra sulla similitudine con la situazione attuale, sia per la ricchezza di informazioni tecnico-pratiche tutt’ora valide, sia per l’approccio di rispetto e collaborativo per il cavallo e per la concezione armoniosa del ruolo del cavaliere nel binomio. Tutto questo la rende degna di figurare tra le opere da consultare per gli istruttori e i cavalieri di oggigiorno e non solo come importante riferimento storico e culturale.