Le interviste impossibili.. Elisabetta d'Austria
racconta il suo amore per i cavalli
LA LUCE del tramonto sembra incendiare le chiome degli alberi dando ai colori del sottobosco una lieve nota rosata. Strano luogo per un incontro. Ma colei che attendo è stata celebre per le sue stranezze, o forse solo per l’insofferenza a un’epoca e a un ruolo che le è pesato addosso come un sortilegio. Una favola rovesciata, quella di Elisabetta d’Austria, una favola che forse, proprio per questo, ancora oggi continua ad esercitare, soprattutto su noi donne, una sorta di fascinazione misteriosa.
Mi chiedo come dovrò chiamarla in questa strana intervista fuori del tempo.
“Semplicemente Elisabeth” mormora una voce alle mie spalle.
Mi volto e fatico a distinguerla, esile figura scura, quasi invisibile nella moltitudine di cavalli che la circonda.
“Sono stati i miei principali compagni di vita, i gioielli a me più cari, come li ho definiti in una delle mie poesie, perché meravigliarsi che mi abbiano seguito anche qui? – si interrompe un attimo – In uno dei miei posti prediletti, la villa di Bad Ishl, vi era una piccola stanza in cui avevo raccolto i quadri dei miei cavalli preferiti. Ventisette ritratti e dietro a ognuno una storia. A volte il ricordo di un attimo felice, a volte l’amarezza di un rimpianto che mi perseguita ancora.”
La sua piccola mano guantata si insinua nella criniera di uno splendido morello. Il cavallo gira la testa. Si guardano.
“Lui è Domino. Se quel giorno, in terra d’Irlanda avessi potuto immaginare… Non era un ostacolo particolarmente grande. Ma quando si gioca a sfidare la sorte e la velocità è l’unica cosa che conta è facile sbagliare una battuta. O forse ci urtarono, non lo so. Io fui la sola a salvarmi e mi è rimasto dentro per sempre l’interrogativo misto di stupore e di angoscia che ho letto nei suoi occhi.”
Si gira a guardarmi, quasi attendesse una risposta. Mi riesce difficile interrompere il filo dei suoi pensieri, mormoro solamente “Sfidare la sorte o la morte?”.
“Sfidare la morte? No, piuttosto tentare di dominarla. Così come ho cercato di dominare il mio corpo. Superare il limite per dimostrare che lo spirito può avere il sopravvento sulla materia, piegandola al suo volere. E’ stata questa la mia vera ribellione agli obblighi che la mia epoca e il mio ruolo imponevano. Montare a cavallo era anche questo, dimostrare che i percorsi più pericolosi, gli incidenti più eccezionali non potevano piegare la mia volontà di andare oltre. Come in Normandia quando, dopo una spettacolare caduta da Zouave (erano le prime volte che lo montavo e, come direste oggi voi, non si era ancora formata quella unità del binomio che sola garantisce la sicurezza del cavaliere) rimasi lungamente a terra priva di sensi. Una lieve commozione celebrale che pur creando intorno a me il panico, non riuscì ad impedirmi, dopo pochi giorni, di rimontare a cavallo.” E per la prima volta i suoi occhi sono sfiorati dall’ombra di un sorriso.
“ L’equitazione, quindi come atto di ribellione, come modalità per affermare la propria libertà personale?”
“Non solo questo. Dei cavalli, come di molti altri animali che mi sono stati compagni, ho apprezzato il silenzio. Quella capacità di comunicare con i moti dell’anima, piuttosto che con quell’inautenticità che spesso si nasconde dietro le parole. Con loro non è mai stato possibile l’inganno e da loro non sono stata mai ingannata.”
Resta lungamente in silenzio quasi a scegliere le parole.
“I cavalli però mi hanno regalato qualcosa di più: la possibilità di vivere il presente. La mia vita si è svolta tutta tra i ricordi del passato e gli impegni del futuro. Sospesa tra ieri e domani si è snodata nella consapevolezza del nulla. Solo nel ritmo del galoppo ho sperimentato la certezza di essere viva, corpo ed anima finalmente uniti in un attimo fuori dal tempo. Per questo ho dato il nome di Nihiliste al mio ultimo cavallo, perché avevo finalmente capito che solo attraverso di loro potevo raggiungere, almeno per un istante, quella dimensione misteriosa che chiamiamo identità.”