NDOVAI al macello? No forse peggio!
Per Andovaiotte IV di Teleberara era arrivata la fine.
Era lì che si dondolava da un piede all’altro e non sapeva come dirlo ai compagni.
Prese coraggio. La sua voce usciva ovattata dal box chiuso.
“Colleghi, compagni di sventura, oggi è la mia ultima notte qui con voi!” gridò.
Prima si fece silenzio poi si alzarono nitriti di protesta, raspate per terra, calci contro le porte, urletti e impennate. Tutti volevano bene ad Andovai, baio tedesco mite e gentile. Non che fosse il suo carattere. Era stato ribelle, insofferente, curioso, non tollerava le sopraffazioni. Fino a che non fu venduto a Deborah Degli Speroni in Frustalunga, amazzone rampante e aristocratica.
Per lui fu la fine. Poco a poco, tra continue richieste e punizioni, allenamenti sfiancanti e alcuna gratificazione, confinato in un box chiuso, al buio Andovai cominciò a entrare in depressione.
Gli sarebbe bastato essere consolato dai suoi compagni, un muso a muso, collo a collo dove si praticava quello che per lui era solo un sentito dire, un sogno, mordicchiarsi il garrese. Ma anche solo poter guardare fuori, non pretendeva all’esterno, ma nel corridoio di scuderia, tanto per svagarsi un po’.
“Assolutamente no!” declamava austera “ l’amazzone, il cavallo dopo il lavoro deve riflettere e metabolizzare gli esercizi, niente distrazioni!”
La vita quotidiana se la immaginava. Conosceva le voci, i passi dei suoi compagni, gli odori, i turni, i ritmi. Dalla finestrella del box gli arrivava l’odore della pioggia, il profumo delle fioriture, la polvere, la puzza di carburante, venti caldi e freddi, l’arrivo del camion del fieno.
Quando usciva era solo per lavorare. Mentre lo preparavano, legato ai due venti, cercava di fissare con lo sguardo tutti i particolari. Poi l’endovena, le fasce, le trecce, la sella, la testiera e l’abbassa testa. E lavoro, tanto lavoro, ripetitivo, noioso. I muscoli gli facevano male, la schiena la notte non gli dava pace. Così per avere un po’ di conforto si alzava e cominciare a ballare. Lì al buio, da solo, con un mucchio di fieno che era sempre meno e più cattivo e il mangime che puzzava sempre di quelle schifose bustine.
Quasi quasi era contento quando veniva il veterinario che lo faceva trottare su e giù e lui si concedeva qualche sgroppatina, subito stroncata con rimproveri e strattoni di longhina.
Lei lo metteva a disagio. Quando sentiva la sua voce il cuore gli cominciava a battere più forte. Cosa vorrà da me oggi? Sarò in grado di farlo? Quanti colpi mi darà sulla pancia?
Lei arrivava con un enorme cane nero dagli occhi gialli, che si metteva davanti a lui guardandolo fisso. Un tremore lo pervadeva sempre e la sua testa diventava vuota. L’unico istinto era fuggire, sottrarsi. Ma aveva capito che era meglio stare lì e subire, sperando che un giorno qualcuno più cavallo si prendesse cura di lui.
“Andovai, ma dove vai al macello?” nitrì Nosiboi che aveva visto sparire tutti i suoi amici della scuola
“Peggio” mormorò
“Ti hanno venduto a un bambino che fa salto ostacoli?” chiedeva la pony di nome Grande Puffa
“Peggio” sussurrò“ A un principiante agonista di cross country?” osò indovinare Senzadomani
“Non dirmi che vai a fare lezioni ai disabili” sussurrò Burca, la gentile araba che portava sempre i paraocchi.
“Passeggiate in Abruzzo sui sentieri di sassi?” azzardò Diobbono, il maremmano
“Peggio amici, VADO AL PRATO!!!” esplose Andovai
“AL PRATOOOOO??????????? NOOOOOOOO!!!!!!” esclamarono tutti in coro
“Quanto ci dispiace Andovai, non te lo meritavi proprio”
“Ma sei zoppo, come farai a camminare sui sassi?”
“E il freddo e l’umidità non ti faranno male alle ossa?”
“E la pioggia, il caldo, i temporali, i cani randagi, non hai paura?”
“Non lo so amici, non ho la forza di reagire e comunque cosa potrei fare per oppormi?” teneva la testa bassa, l’occhio era spento.
Dopo tanti anni di duro lavoro, non se lo immaginava di finire abbandonato a se stesso.
Si fece un gran silenzio in scuderia fino a che arrivò il giorno.
La porta scorrevole si aprì ed entrò Michè, il factotum. “’Ndo vai oggi Andovai? Te ne vai?” Ah ah ah “Daje Omar pulisci sto box che alle 10 arriva l’altro a dare il cambio a ‘sto vecchio catorcio. E t’ha detto bene Andovai, che la tua padrona ti manda in pensione, a fare niente dalla mattina alla sera, che pacchia eh?”
Quel giorno niente bruscata, i piedi rimasero sporchi, la coda piena di trucioli e saltò il pasto.
Ripetuti nitriti salutarono la sua triste uscita.
Fu caricato a forza su un vecchio trailer piccolo e arrugginito senza neanche i paracolpi e la coperta!
Il viaggio fu lungo e pieno di scossoni e gli facevano male le gambe per reggersi in piedi, sbatteva il sedere di qua e di là e si ferì con un ferro.Il cuore gli batteva all’impazzata, la cacca gli usciva senza tregua e sudava fino a gocciolare.Quando scese, vide di fronte a lui una collina senza alberi, marrone, con tanti fili bianchi e i cavalli erano fermi e zitti.
Non voleva entrare dentro quel paddock pieno di fango, gli faceva schifo camminare sulla cacca, tutto puzzava. Si avvicinò al bidone dell’acqua che era tutta sporca e non riuscì a bere. Vide una casetta “Forse è il mio box”, pensò e si incamminò barcollando sulla salita. Quando mise la testa dentro gli arrivò una zaffata di piscio e cacca, fieno macerato, fango puzzolente e si ritrasse subito. “E dove dormo stasera? Dove mi sdraio?”
Rimase lì impalato. C’era troppa luce, lui aveva vissuto sempre in penombra, troppo vento per chi aveva trascorso la vita in box, aveva fame e sete.“Ma dove mi trovo, quando torno a casa?” Si sentiva perso, aveva paura.Fu richiamato da un nitrito, era un suo simile che lo invitava ad avvicinarsi. Come fu contento! Si sporse oltre i fili per salutarlo gioioso e improvvisamente ricevette un colpo sul muso come una frustata che lo fece tremare e arretrare. Ma da dove veniva? Che dolore!Il suo nuovo amico, sporco, pieno di fango, dal pelo lungo, gli indicò il filo. “Pensavo che lo sapessi, da lì esce il male, non puoi avvicinarti.”
“Vuoi dire che non posso annusarti?”
“No, possiamo solo guardarci, ma niente contatti, altrimenti prendi la frustata.”
“Ma perché? Non è giusto!” piagnucolò Andovai
“Dicono che ci facciamo male, ma è un imbroglio, gli umani fanno solo quello che è comodo a loro. E non pensare di mangiare tutti i giorni, devi imparare a non calpestare il fieno.”
“Avevo sentito storie terribili sul PRATO, ma non immaginavo fosse così” disse disperato
“Si amico mio, qui siamo dimenticati e abbandonati fino a che non arriva la nostra ora. E credimi, in queste condizioni in pochi resistono.”
Se ne tornò mogio al centro del paddock e si mise a cercare cibo per terra, ma non trovò niente, solo fango mucchi di cacca e piante spinose.
Arrivò la notte e non sapeva dove sdraiarsi, così rimase in piedi, fuori dalla capannina, ma aveva tanto freddo.
Passarono molti giorni fino a che una mattina sentì la sua voce.
“Forse è venuta a riprendermi!” e corse giù dalla collina mentre il cuore gli batteva forte.
Era accompagnata dalla responsabile del posto, Miriam Èunavitachestoinmezzoaicavalli, che lo indicò : “Eccolo là, vede come sta bene, corre pure!”“Un po’ rustico questo posto” replicò LEI
“Ah non si preoccupi, il cavallo è tornato alla natura, nel suo ambiente a fare finalmente la vita libera correndo nelle praterie. “ diceva, gesticolando con larghe sbracciate.
“Mi sembra che ci siano solo sassi e pendenze, quali praterie? Ma mangia abbastanza, a me sembra dimagrito!” replicò stizzita la Degli Speroni in Frustalunga.
“Ma certamente, mangiano fieno a volontà e poi passiamo due volte al giorno col fioccato. In aggiunta possono pascolare.” Ribattè Miriam Èunavitachestoinmezzoaicavalli, con supponenza.
“Non le credere Deborah, è una bugia, mangiamo poco e ogni due giorni! Ho tanta fame e sete!” nitrì Andovai raspando per terra.
“Vede com’è felice?” ebbe il coraggio di affermare Miriam Èunavitachestoinmezzoaicavalli, ammiccando con aria di esperta in materia di etologia.“Ma il cavallo è sporco di fango, mi aveva assicurato che lo pulivate e mettevate la coperta, il paddock è pieno di cacca, non erano questi gli accordi!” la voce della Deborah Degli Speroni in Frustalunga si fece stridula.
“ Abbiamo avuto il trattore rotto e siamo indietro con le pulizie, il groom ha avuto l’influenza ma da domani tutto tornerà normale. Vede ho qui con me la coperta l’ho tolta stamattina e stasera gliela avrei messa io.” Insistette Miriam Èunavitachestoinmezzoaicavalli, bugiarda come un politico nostrano.
Deborah guardò la coperta che era ancora nella plastica dove l’aveva riposta e disse : “ Se trova qualcuno che se lo prende, lo do via, così non mi sta sulle spese. “
Lo guardò con fastidio, ormai era solo un peso e lei aveva fretta di andarsene. Lui era lì che la aspettava, con le orecchie dritte, ma lei si girò e senza neanche entrare nel paddock a salutarlo, si infilò in macchina dove la aspettava un uomo col motore acceso
.“Andovai Deborah, mi lasci qui???? ”, nitrì disperato cercando di seguire la macchina correndo, zoppicando e inciampando sui sassi.
Era la fine, si sentì abbandonato e senza speranze. La sua vita comoda, i pasti regolari, il calduccio del box, non c’era più niente. Solo fame, freddo, dolori e solitudine. Si chiuse nel suo mondo, stava sempre da una parte da solo e dimagriva a vista d’occhio.
Dopo qualche tempo, un giorno arrivò un van, dal quale uscivano dei rumori terribili.
Il conducente scese esasperato. “È un demonio, mi ha distrutto il van, fatelo scendere subito!”Il nuovo ospite si catapultò fuori scivolando sulla rampa, poi impennandosi, sgroppando e a mala pena riuscirono a metterlo nel paddock.
“Ma che schifo di posto è questo??? ” gridò “tiratemi fuori di qui!!!!”
Andovai richiamato da tutto quel casino, si avvicinò “Hai ragione, non si può vivere qui, è un vero schifo. Come ti chiami?”
“Venganchìo” rispose il grigio “E tu?”
“Andovaiotte, per gli amici Andovai”“ E che facevi?” chiese Andovai
“Salto ostacoli e tu?”
“Io dressage” rispose Andovai“Oh, mi dispiace tanto, devi aver sofferto molto vero? Aspetta che vengo dentro a consolarti”
Venganchìo prese la rincorsa e con un balzo fu dentro al paddock di Andovai.
Che bello il contatto muso a muso, giocare un pò a rincorrersi e finalmente il tanto sognato mordicchiarsi sul garrese. In quel momento il cuore gli batteva di meno, i pensieri brutti volarono via e si scordò per un po’ della sua triste sorte.
Ma per quanto lui volesse stare meglio e godersi quel nuovo amico, sentiva che stava perdendo le forze. Era dimagrito, i piedi gli facevano male, ora che lo avevano sferrato le unghie si erano spezzate, camminava a fatica. Raggiungere il bidone dell’acqua era un calvario.
Fino a che Venganchìo un giorno non si sentì male. Si rotolava per terra, sudava, raspava, si rialzava e si rimetteva giù.
Se ne accorsero due ragazzi che passavano in bicicletta e andarono ad avvertire Miriam Èunavitachestoinmezzoaicavalli.
Arrivò il veterinario e intorno a lui c’era una piccola folla di curiosi con i cani che abbaiavano, ma lui bestemmiava senza un domani perché gli toccava andare su giù da questa collina, scivolando sul fango. Venganchio si rifiutava di muoversi.
Dopo ore si fermò un’auto dalla quale scese una Signora ben vestita seguita da una bambina. Era la proprietaria di Venganchìo che si guardò intorno schifata.Cominciò una litigata furibonda con Miriam Èunavitachestoinmezzoaicavalli.
Ma che posto è questo è un lager, ma che si aspetta pagando così poco, mi avevate assicurato che era un posto adatto al pensionamento, lei non è mai venuta a vederlo, sono dovuta partire improvvisamente ero a New York per lavoro, il suo cavallo è ingestibile salta sempre dentro il paddock di quell’altro è un pericolo, ma mi faccia il piacere se c’è un pericolo qui è proprio lei, ma come si permette se lo porti via subito, lo sto già facendo se sopravvive …..Mentre il veterinario ficcava un tubo nel naso al povero Venganchìo, le due si azzuffavano. Andovai si avvicinò alle corde bianche da dove usciva il male, nitriva al suo amico per incoraggiarlo e non si mosse da lì.
La Bambina tirò la giacca alla madre distogliendola da quella inutile lite e disse : “Mamma Venganchìo si è fatto un amico, lui non ha mai avuto amici. Certo è un po’ bruttino e magro e sporco, ma vedi come si preoccupa per lui? Lo portiamo via? ”
“Fa proprio pena” disse la madre “doveva essere un bel cavallo.”
Cominciò a fare buio e a piovere e loro erano sempre lì. La Signora fece un mucchio di telefonate, doveva portare via di lì Venganchìo.Arrivò il van e il ragazzo mise la capezza al grigio per portarlo via. I due cavalli si guardarono “Stavamo bene insieme, vero grigio?” disse Andovai con la morte nel cuore “ Non voglio che te ne vai, ma non puoi rimanere qui, moriresti!”
“Baio, amico mio, non ti voglio lasciare qui da solo, vieni con me, non ho mai avuto amici!” Cominciò a nitrire forte mentre veniva trascinato via a suon di frusta. Era disperato.
Da dentro il van si sentivano le sue grida. La Signora e la Bambina avevano le lacrime agli occhi, perché l’amico gli rispondeva ed era sceso giù dalla collina seguendolo zoppicando e scivolando dalla debolezza.E il grigio gridava, gridava, il van oscillava e non poteva vedere il ragazzo che entrava nel paddock, metteva la capezza al baio e si avviava verso il van.
Andovai!!!!!” gridava il grigio dal van
“Venganchìo” rispose il baio contento.
Dott. Carla De Benedictis