Mustang del Nevada: salvati o deportati?
GLI ANIMALISTI americani gridano alla deportazione. L’ufficio che presiede il controllo del territorio risponde con una alzata di spalle e procede secondo programma. Non saranno certo i soliti quattro integralisti dall’anima a quattrozampe a mettere in discussione una decisione già presa. I Mustang del Nevada non possono più restare allo stato brado, devono essere trasferiti in un’area ben delimitata, con tanto di recinti e steccati così alti e solidi da far passare a questi bestioni selvatici ogni illusione di poterli scavalcare e tornarsene a scorrazzare in lungo e in largo per la prateria come hanno sempre fatto. Cioè, ci possono pure provare e sicuramente ci proveranno. Nessuno starà lì ad impedirglielo. Ma dopo le prime quattro cinque grugnate come si deve contro staccionate in legno massiccio e filo spinato, finiranno per capire che non è proprio aria. La festa è finita. E se ne dovranno fare una ragione. Loro e tutti gli animalisti dell’universo. Inutile perdere tempo a spiegare che l’operazione è fatta a fin di bene, del loro bene. Perché se continuano a restare liberi e selvaggi ne va della loro sicurezza e salute. Di fronte a parole decisive come queste uno alza le mani: quando c’è di mezzo salute e sicurezza non si discute per principio. Però, c’è un… però: al momento non è ancora dato sapere quali pericoli incombono su questi cavalli, quali mortali rischi corrono continuando a vivere nel loro habitat naturale. Si sa come vanno queste cose: in assenza di informazioni precise e comprovate, uno è portato a pensare di tutto e di peggio. Come minimo sarà in agguato una epidemia subdola e perniciosa che nel giro di poco tempo li sterminerà tutti uno ad uno. Deve essere senz’altro così, altrimenti non si spiega la ferma determinazione della scelta e la irrevocabilità della decisione. E però, ed è il secondo, c’è ancora un…però: al momento pare che non sia stata ritracciata nessuna carcassa di cavallo stecchito da chissà quale virus letale, dopo atroce agonia. E allora, se le cose stanno così, si può sapere perché mai i mustang vengono concentrati tutti in un campo che, almeno sul piano sintattico, nulla impedisce di qualificare come campo di, giustappunto, concentramento?
PARE che, sulla faccenda, due noti personaggi dello spettacolo abbiano scritto addirittura ad Obama. Gli hanno detto che in Nevada si sta consumando una barbarie nei confronti dei Mustang. Gli hanno detto che chiuderli in un recinto vuol dire svuotarli, come appunto farebbe quel fantomatico virus letale, della loro ragion d’essere in natura. Gli hanno detto che se i mustang fossero umani, in una prigionia come quella schiatterebbero di crepacuore. Parole forti che non lascerebbero insensibile nemmeno un paracarro. Ad essere onesti bisogna però ammettere che, a proposito di animali, il povero Barak le sue brutte gatte da pelare già ce l’ha. E hanno pure le unghie in fuori e le orecchie appiattite all’indietro. Estendere il diritto ad un minimo di assistenza sanitaria a chi non l’ha mai avuta non è come giocare a battimuro. Fare i conti con il terrorismo internazionale non è, come avremmo detto una volta, un pranzo di gala. C’è dunque da prendere in seria considerazione l’ipotesi che la sorte dei Mustang, così come è posta, non sia proprio in cima ai suoi pensieri. Allora ci è venuta un’idea: prospettare il problema da un altro punto di vista e sottoporlo in forma di domanda. Vale a dire: e sia, togliamo pure di mezzo i Mustang. Dopo che succede? I loro territori che fine fanno? Chi se li prende? Per farci cosa? Ammettiamo pure che in queste domande possa risuonare un che di tendenzioso, finanche di pregiudiziale.
RESTA il fatto, però, che fino a prova contraria, sono legittime. E sono legittime perche fondate sul presupposto di una riflessione altrettanto legittima. I Mustang sono il simbolo per eccellenza dell’epopea americana. E come tutti i simboli che l’umanità si porta nel cuore, sono per definizione sacri e inviolabili. Almeno fino a quando durerà l’idea di sacralità e inviolabilità. Ma come tutti i simboli hanno un limite la cui imperdonabilità appare sempre più condivisa: non producono profitti. Questo vuol dire che la terra dei Mustang, lasciata ai Mustang, è vista come terra sprecata. Sprecata come tutto ciò che non rende immediatamente. Come tutto ciò che non sia immediatamente scambiabile sul mercato. Come è tutto ciò che non sia immediatamente convertibile in moneta sonante. Sprecata come il tempo inutilmente buttato a voler pensare il futuro. E qui non casca l’asino, ma vogliono far cascare il Mustang.
Obama sa, e nessuno meglio di lui lo sa, che la crisi globale in cui è precipitato il pianeta è partita proprio da casa sua. Sa che in America in tanti, troppi, per ingordigia di profitti, hanno mandato in frantumi anche il ‘sogno americano’. E Obama sa anche chi sono questi troppi: sono i centometristi del profitto qui e adesso. Allora Obama non può non sapere che le terre dei Mustang senza i Mustang sono destinate a diventare un problema ambientale che si aggiungerà a quello, per esempio, dello scioglimento della calotta polare. Sono in tanti, troppi quelli che brindano alla liquefazione dei ghiacciai che stanno in cima al mondo. Si accorciano le tratte di navigazione, diminuiscono i costi e aumentano a dismisura i profitti. Ma sono anche tanti, e mai troppi, quelli che rabbrividiscono all’idea che gli orsi polari abbiano cominciato a sbranarsi fra loro perché il loro ambiente si sta sfaldando pezzo a pezzo e non trovano più cibo. ‘Homo homini lupus’ ha ceduto il passo al suicida ‘homo naturae praedator ’. Questo dicono anche i Mustang del Nevada dal fondo del vicolo cieco in cui l’uomo li ha cacciati. Allora Mister President è più chiaro così il problema?