''Ma il doping è soltanto nello sport?''
Egregio Direttore, sulle pagine dei giornali in questi giorni l'ippica è protagonista. Inorridiscono coloro i quali vorrebbero lo fosse anche in altre situazioni e non solo quando a rompere il silenzio è la parola doping. Il 2012 è stato definito per quelli del settore annus horribilis per le note vicende legate ai tagli economici ed alle mancate ristrutturazioni tanto attese che, se fossero state messe in atto in questi mesi di nulla, avrebbero forse potuto sedare la rabbia di coloro che gravitano in questo mondo.
I campanilisti nell'ultimo ventennio si sono affidati a due fenomeni che hanno fatto da ambasciatori al made in Italy divenendo icone all'estero e, udite udite, in misura minima anche da noi confutando il detto nemo propheta in patria. Varenne per il trotto e Lanfranco Dettori per il galoppo, in misura ancora più impressionante, sono stati capaci di rompere record impossibili e di farne segnare altri che probabilmente saranno solo numeri da ammirare per chi verrà dopo di loro.
In questi giorni a rompere il silenzio è la notizia della positività al doping di quello che universalmente è riconosciuto come Frankie. Il fantino milanese partito giovane per la Gran Bretagna per intraprendere nella patria del galoppo la carriera del padre, all'età di 42 anni sarebbe scivolato sulla buccia di banana macchiandosi di un'onta che per gli sportivi è un peccato non perdonabile. Squillano le trombe prima che si pronunci la commissione di France Galop, muta sinché non avrà ascoltato l'imputato. Sia giusto o ingiusto, che la notizia abbia riscontrato l'interesse di quotidiani e media non è argomento di discussione. Lo è il fatto che in molte professioni, quale che sia la forma di doping, si cede agli aiuti esterni per mantenere il posto. Ciò che per sua natura crea dipendenza porta anche felicità momentanea e spesso aiuta a perseguire uno scopo in molte professioni.
Nel mondo della moda, non è passato molto tempo, quello che avrebbe potuto distruggere una donna, icona di bellezza e di magrezza, l'ha lanciata in un universo parallelo di non differente spessore mediatico. Nello sport ciò non è ammesso, ed in questo non vi siano zone d'ombra di alcuna sorta ma, soprattutto, non si cerchi di cambiare lo status quo. Questi solo due esempi di mondi in cui l'uso di sostanze dopanti può dare vantaggi e creare disappunto in chi si identifica in coloro che ne sono i portavoce.
Ma quanto l'uso di queste sostanze può davvero nuocere alla vita dei comuni cittadini? Non è solo una cosa riprovevole da punirsi civilmente rispettando il diritto di difesa dell'imputato e da utilizzare come leva per fare prevenzione? La lotta al doping nello sport è doverosa e insita nello stesso concetto di comportamento sportivo. Ma i controlli non dovrebbero essere doverosi solo in sala fantini. Quante scelte di capitani d'industria, politici, genitori possono essere ben più riprovevoli e pericolose? Sono solo riflessioni in attesa di una verità la cui importanza sarà direttamente proporzionale all'attesa, alla pubblicità che ne verrà fatta. Completamente contraria all'uso di qualsiasi sostanza vietata in qualsiasi situazione, credo che i controlli andrebbero di prassi estesi anche a settori dove le conseguenze del malcostume sono ben più devastanti.
Qualcuno disse “chi è senza peccato scagli la prima pietra”. Forse solo avendo dei valori per cui combattere si potrà aggiustare tante piccole cose in un mondo in cui si pensa all'oggi e non si guarda al domani, in cui la felicità momentanea, vera o fittizia che sia, è solo il tappeto sotto cui nascondere la polvere.
Flavia Rovereto di Rivanazzano