Anno Domini 2015: recuperiamo la cultura equestre
La fine delle grandi scuole italiane militari e non, la carenza di cultura equestre, la meccanizzazione, lo spopolamento delle campagne in talune zone e lo sfruttamento intensivo di mono colture nelle aree rurali restanti non condannate dall’avanzare del cemento e dal crescente inquinamento, hanno fatto si che il cavallo ora si trovi in bilico, proiettato verso due destini che non giovano né all’uomo, nè all’animale: passare a mitologia o divenire carne da macello?
Il vuoto originato dal salto generazionale che è avvenuto, a causa dei fatui interessi mai assuefatti da tutto ciò che diveniva meccanico o elettronico, ha inoltre fatto perdere quanto di buono era stato tramandato a voce dal nonno al padre, poi dal padre al figlio, facendo emergere una terra di nessuno sulla quale si sono accampati pian piano maghi e fattucchiere sbucati da ogni dove, che dispensano pozioni e insindacabili consigli utili per tutto, facendoci anche credere che sono riusciti persino a inventare l’acqua calda.
Questo caos, ingrassato dalla beata ignoranza nel senso letterario del termine, ha partorito nuove “discipline” che non necessitano più di apprendere a priori nozioni di etologia e anatomia, mirate alla comprensione del cavallo per poi passare alla tecnica del cavaliere. L’obiettivo diviene così infilare i calzoni negli stivali, issare un pesante sellone pseudo western sulle spalle gracili ed emaciate di un puro sanguino inglese scartato dalle corse, ora anche mal nutrito e via, pronti a “snodellarlo” a quattro anni ad una gimkana della domenica. Che carriera! In così poco tempo è stato allevato, domato, usato e poi irrimediabilmente “danneggiato”: è così che nascono i baby pensionati? Peccato che in questo ambiente non ci siano tutele.
Quanto possiamo ancora resistere noi rimasti ultimi uomini di cavalli, allevatori e cavalieri, che ci incontriamo a scambiare esperienze e idee, segregati in spazi che ci ricordano i confini di una riserva indiana? Per esperienza personale, ho iniziato a notare con mio grande rammarico che i bambini non subiscono più il fascino del quadrupede: attraversando a cavallo una via di paese, solo il nonno si affaccia alla finestra all’udir del soave scalpitio degli zoccoli sul selciato; il bimbo è incredibilmente assente, catturato dai video games, prigioniero del suo mondo virtuale, recluso tra le mura di casa.
Da dove ripartire allora per creare interesse e soprattutto cultura? Forse proprio da loro, ma nelle scuole. Bisogna però prima “lavorare” su quell’insegnante cresciuto proprio in quel vuoto generazionale, ricordandogli che il cavallo è un libro di storia vivente, le cui pagine vengono voltate accarezzandolo, odorandolo e osservandolo, ricavando sensazioni e ricordi ancestrali che la nostra coscienza non ha dimenticato.
Leggendo il cavallo rivediamo inevitabilmente il percorso dell’uomo, dalla creazione fino ai giorni nostri, passando per epiche imprese, battaglie, creazioni di imperi, fino alla popolazione e costruzione di quel mitico west che ora chiamiamo USA. I più grandi, uomini, condottieri, imperatori di indiscussa fama, come Napoleone, Garibaldi, hanno dovuto dividere il loro ritratto, la propria statua con il cavallo, al solo fine di poter essere elevato ad un rango così sublime che senza questo animale l’uomo mai potrebbe raggiungere.
Il cavallo ha fatto grande l’uomo e non il contrario. Conoscere il cavallo significa aver appreso le regole che governano la terra e gli uomini. Maltrattare il cavallo diventa pertanto la vile reazione di chi si scopre inferiore e non riesce a comprendere e raggiungere cotanta grandezza.
Un detto senese delle mie parti, nato forse nella notte dei tempi, narra: meglio umili a cavallo che orgogliosi a piedi.
Claudio Fabbri