War Horse, omaggio ai milioni di cavalli morti nella prima guerra mondiale!
Galoppa spaventato e furente, in una notte e illuminata dagli scoppi delle bombe. In cerca di salvezza tenta di uscire dalla lunga trincea in cui è ruzzolato, finendo così in un terreno fitto di reticolati, in cui resta prigioniero, la carne viva avvolta da metri e metri di filo spinato. Un bozzolo di dolore a cui deve arrendersi, costringendosi all'immobilità. E' coperto di sangue, è sfinito, fra poco non gli resterà che aspettare la morte, in quella desolata "terra di nessuno" in cui si fronteggiano i fantaccini dell'esercito inglese e di quello tedesco.
Accade in un film - stiamo parlando di War Horse di Steven Spielberg - ma è accaduto anche agli otto milioni di equidi morti sui campi di battaglia del primo conflitto mondiale. Il centenario della fine della guerra 1914-18 è di poche settimane fa. E in questi tempi in cui si privilegiano divisioni politiche, scissione, sovranismi, sarà forse utile ricordare cosa ha significato quel conflitto per l'Europa. Quali costi di sangue, di morti e di lutti ha comportato anche per l'Italia che pure è risultata vittoriosa(?). Un ricordo più che mai necessario, se si pensa che vent'anni dopo si accendeva il secondo conflitto mondiale.
Ma torniamo a War Horse. Ispirato all'omonimo romanzo di Michael Morpurgo, poi divenuto un meraviglioso spettacolo teatrale ( a dieci anni dalla prima londinese, le repliche continuano ancora) il film di Spielberg ha come protagonista un bel puledro nato nelle verdi vallate del Devon, cui è affidato il compito di tessere la trama della narrazione al di qua e al di là della Manica. Comperato appena svezzato da un fattore che avrebbe bisogno di un placido cavallo da tiro da aggiogare all'aratro e non di uno scalpitante purosangue, il puledro viene domato dal ragazzo di casa, il giovane Albert. Fra il ragazzo e il puledro - che viene chiamato Joey - si instaura un rapporto di felicissima intesa, bruscamente troncato dallo scoppio della guerra: l'esercito inglese ha bisogno di cavalli e Joey viene dunque ceduto a un ufficiale che lo paga un'ottima cifra, destinata a rimpinguare le magre casse di famiglia. In lacrime Albert vede portar via il suo amico, il suo amato fratello interspecie: Joey andrà in Francia, parteciperà a molte cariche di cavalleria, verrà poi catturato dai tedeschi che lo aggiogano a una carro d'artiglieria... E dalle trinece cercherà di fuggire, finendo impigliato nei reticolati di filo spinato, in una sequenta di grande, indimenticabile terribilità. Scrive infatti Paolo Mereghetti nel suo Dizionario dei film, divenuto una vera e propria bibbia di chi ama il cinema: "la sequenza della lunga corsa di Joey nella terra di nessuno fra le trincee, con le fazioni opposte che cercano di salvare il cavallo dal filo spinato, entra di diritto tra i vertici artistici e tecnici dell'intera carriera del regista".
Sono stati quattordici i cavalli usati per impersonare Joey nelle sue diverse età ( va detto che accade quasi sempre nei film con animali: il personaggio di Babe, il maialino protagonista del famosissimo film Babe maialino coraggioso è stato interpretato da dodici maialini, che si avvicendavano sul set con un rigido calendario, perché dovevano essere sempre piccoli, mentre durante la lavorazione crescevano a vista d'occhio). Ma quel che occorre notare è che il protagonista non ha alcun atteggiamento antropomorfo. E' semplicemente un cavallo, che riconosce il fischio del ragazzo che l'ha domato ma è - e resta - un animale: una creatura trascinata senza colpa in un inferno di patimenti e di dolore, di sangue e di tragedia. Un individuo della specie equina che con la sua "innocenza storica", è in grado di far dialogare fra loro due nemici - un inglese e un tedesco - che fino a un istante prima erano intenti a spararsi l'un l'altro.
E' questa la chiave qualificante del film. E' questa l'intuizione del romanzo, ispirato a un purosangue inglese realmente esistito, Warrior, uno dei pochi cavalli tornati a casa dalla prima guerra mondiale. Warrior era partito dall'isola di Whigt, ed è lì che è tornato nel 1918, divenendo una gloria locale e morendo alla veneranda età di 33 anni. Ma questo è anche il senso profondo dello spettacolo teatrale che a Londra tiene il cartellone da dieci anni. Chi avrà la fortuna di poterlo vedere (o chi vorrà cercarne qualche immagine in rete) scoprirà che Joey è stato realizzato in legno, cuoio e fil di ferro: una sorta di burattino snodato, appena naturalistico, mosso da due uomini nascosti nel suo corpo. Eppure la magia del teatro - unita alla magia che l'idea stessa di cavallo fatalmente porta con sè - producono un' incontenibile onda di emozione negli spettatori. La stessa emozione che colse Spielberg e che lo decise a chiedere i diritti cinematografici del libro di Morpurgo. Come spesso accade, un film che ha al suo centro un animale viene considerato un film per ragazzi. Come se gli adulti dovessero essere immuni dalle emozioni. Diciamolo a chiare lettere: si dovrebbe essere adulti senza per questo diventare cinici.