Waikiki Beach, Bruno Farneti - a sinistra, a fianco di Sandro Bazzani, nella suggestiva foto di Stefano Grasso
Waikiki Beach sia l'esempio
Gli eroi son tutti giovani e belli. Waikiki Beach, faccia imbiancata dai 37 anni, si è portato via un pezzo del cuore di chi, senza far conti astrusi sul corrispettivo umano del venerando equino, crede nelle grandi amicizie. Quelle tra gli eroi, appunto. Pulite , incrollabili, eterne. Nel profumo dei box il mito del centauro si nutre della quotidianità degli affetti , dei gesti, della cura . I nostri non sono gli omerici di imprese scintillanti d'elmi e scudi ma quelli, ancor più tenaci, di tutti i giorni . Che senza slogan né proclami dimostrano come la relazione uomo-cavallo non sia glicemia da sciuremarie ma la colonna portante della nostra storia. E che l’ippica non sia (tutta) da liquidare come una oscenità. Quegli eroi ai quali la crudezza anagrafica - «era vecchio…» - non attenua minimamente il dolore. Anzi. Scava. Perché la fragilità, le tenerezze, le manie, la fatica di un animale anziano specchiano le nostre. Perché non si è mai pronti a perdere un amico, un compagno. Come si usa dire, il padre di Varenne si è spento circondato dall’affetto dei suoi cari. Non si è arreso. Nessuno si arrende. Ha assecondato fino alla fine la natura che non vede spesso un cavallo raggiungere quell’età. Questo è il frutto della relazione. Era nato negli Stati Uniti il 31 ottobre 1984, riporta il data base dell’Anact . Ma si sa, stiamo parlando di cavalli e nessuna certezza è mai tale. Gli ippici non riescono a mettersi d’accordo su nulla, neppure su una data, e quindi altre fonti riportano marzo come mese di nascita. Ma che cosa importa? Con 344mila dollari vinti in carriera - tutta americana, ché in Italia si è visto solamente in una passerella di qualifica - Waikiki Beach sarebbe stato “solo” un buon cavallo da corsa - nel suo palmares a stelle e strisce American National, Matron Stakes Final, secondo nell’ Historic Dickerson Cup, terzo nel Kentucky Futurity - se sulla sua via stalloniera non avesse incontrato Ialmaz, saura generosa in pista e in razza (morirà tragicamente di parto, nel Duemila). Sarebbe facile raccontare di una nascita plebea di Varenne, ma la genetica dice altro. Nel mixer del più straordinario bartender del mondo, tre quarti di sangue americano e uno francese offrivano sulla carta precocità, velocità, determinazione e fondo. A combinare le triplette di quel piccolino baio nato allo Zenzalino di Copparo , nel Ferrarese, ci sono invece, a ritroso, in linea materna, il vicecampione mondiale di trotto nel 1982 Zebù, il derbywinner Sharif di Iesolo e Speedy Crown, vincitore dell’Hambletonian 81, e, per parte di padre, Speedy Somolly, laureato all’Hambletonian 78 (e figlio di Speedy Crown). Insomma, illustrissimi lombi. Ma certo, dagli alberi genealogici al Capitano il passo è tutt’altro che breve. È qui che si inserisce il dio dei cavalli, quel gran burlone. Quello che il più delle volte mortifica gli allevatori regalando a una coppia di campionissimi staminici un erede polentone ma poi , capriccioso e imprevedibile, si diverte ad alitare quel magico quid (soffiò anche nell’orecchio del modesto Kampala al concepimento di Tony Bin, il purosangue che nel 1988 riportò il Tricolore sull’Arc de Triomphe dopo un’astinenza che durava dal 1961 con Molvedo e suo padre Ribot nel ’55 e ’56) che ha generato il trionfatore di 51 Gran premi e l’eccezionale razzatore tutt’ora in ottima forma, a 26 anni, nella Bassa Pavese. Ed è così che lo stallone americano, all’improvviso, entra nella hall of fame. Dal 1998 diventa “il padre di Varenne”, il padre del più grande trottatore di tutti i tempi. E anche di altri buoni soggetti - oltre 1200 in vent’anni di carriera, vincitori di oltre 53 milioni di euro, tra i quali il derbywinner 2004 Echo dei Veltri -, ma distanti anni luce dalla star. Una meteora. Un cavallo segnato dal destino, Waikiki Beach, amato dagli dei. E dagli uomini. Sì, perché sono queste le storie epiche, di dei ed eroi comuni, che l’ippica dovrebbe vantarsi di raccontare. Quelle che devono spazzare via gli orrori cui troppo spesso assistiamo. Quelle che dimostrano che un’altra via è non solamente possibile ma anche l’unica degna di essere percorsa. Quella della relazione, quella della gratitudine e del rispetto. Quella di Waikiki Beach e della sua famiglia Farneti, senza la quale “il padre del più grande trottatore di tutti i tempi” sarebbe finito al macello (nella migliore delle ipotesi) dopo la chiusura dell’allevamento Orsi Mangelli di San Giovanni in Persiceto, nel Bolognese. Come tanti NN . Salvato dal dispersal, bastarono sei milioni di lire di una monta per Ialmaz a dare vita al più grande. Per Bruno Farneti - a sinistra, a fianco di Sandro Bazzani, nella suggestiva foto di Stefano Grasso - Waikiki Beach è stato per tanti anni un amico, un compagno. Al punto di volere per lui la cittadinanza onoraria ad Anzola nell’Emilia, casa sua. “Patrimonio dell’ippica italiana e internazionale”, lo aveva definito. Tristi le ultime ore, come sempre sono quelle che precedono il grande viaggio. La vita scivola via. I l corpo cede. Le sue condizioni erano peggiorate alla fine dell’anno appena trascorso. “Attraverso i suoi occhi esprimeva ancora tanta voglia di vivere ma le difficoltà nel reggersi in piedi sono state fatali”, si legge in una dichiarazione di Bruno e del figlio Paolo. Da tempo doveva essere aiutato ad alzarsi. Finché non è stato più possibile, il cuore ha smesso di battere. Serenamente. Serenamente. Come se perdere un amico, un compagno, non vederlo più , il dolore dell'assenza possano essere mitigati. La serenità la porta il tempo, con il ricordo. Non ora. La storia di Waikiki Beach è una storia d’amore. Quella che ogni cavallo merita. Quella della mission possible della responsabilità nei loro confronti, e non c’è legge Dpa/non Dpa che tenga. Sappiamo benissimo quanto sia facile aggirarla. Un gioco da (cattivi) ragazzi. Il rispetto, quello no. Quello è una barriera invalicabile. Il rispetto per un cavallo che ha dato tanto , che ci è stato amico e compagno . Come tanto danno ogni giorno i modesti lavoratori delle scuole di equitazione dei quali nessuno di cura. Waikiki Beach e il suo amico Bruno sono una testimonianza preziosa. Da raccontare nelle scuole. Quella che affonda le radici nella storia antica, di quando l'uomo guardò per la prima volta il cavallo senza vedere una fonte di proteine. Sono l’esempio di relazione etica e responsabilità cui siamo tenuti. Non è facoltativa, è un obbligo morale. C he l’ippica dovrebbe fare proprio per statuto. È tempo di rendere omaggio agli eroi quotidiani, ai tanti Waikiki e ai signori Farneti che silenziosamente, ogni giorno, sui paddock premettono il cuore al portafoglio. Si può fare, si deve fare. Riposerai dove hai vissuto. Sit tibi terra levis, Waikiki Beach.